Espandi menu
cerca
Revenant - Redivivo

Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film

Recensioni

L'autore

ROTOTOM

ROTOTOM

Iscritto dal 15 ottobre 2004 Vai al suo profilo
  • Seguaci 116
  • Post 22
  • Recensioni 559
  • Playlist 311
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi
Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Revenant - Redivivo

di ROTOTOM
8 stelle

ANABASI DI HUGH GLASS

“Finché hai un respiro, non arrenderti”.

 

Alejandro González Iñárritu il fiato lo fa trattenere per tutti i grandiosi 151’ del suo film.
 Il respiro ghiacciato sbuffa  in nuvole trasparenti dalla bocca di Hugh Glass che nebulizza il demone della fine, lo scaccia dal corpo come in un ripetuto esorcismo durante il quale morte e successiva rinascita si alternano, si mischiano e si confondono. Nella purezza del bianco immacolato delle regioni vergini del Wyoming, la potenza immota della natura assiste alla lotta per la sopravvivenza di un piccolo uomo calato al grado zero della propria umanità.

Hugh Glass (Leonardo di Caprio) è la guida di un drappello di coloni bianchi cacciatori di pelliccia. Durante un campo in un bosco l’attacco degli indiani Ree li decima costringendo a fuggire sul fiume.  Hugh durante il viaggio di ritorno verso il forte viene attaccato da un orso che lo ferisce a morte. Il drappello di superstiti decide di lasciarlo sul posto, ad accudirlo il figlio meticcio di Hugh, un giovane soldato e uno scafato cacciatore di pelli, Fitzgerald (Tom Hardy). Dopo un giorno Fitzgerald decide che è ora di andarsene, uccide il figlio e ingannando il giovane soldato abbandona Hugh al suo destino. Hugh risorge letteralmente dalla fossa nella quale è stato gettato e nella più completa solitudine cerca di tornare al forte per vendicarsi del tradimento di Fitzgerald.

Leonardo DiCaprio

Revenant - Redivivo (2015): Leonardo DiCaprio

Resurrezione. Rinascita.

Non c’è nulla di metafisico nel film di Iñárritu. Nessun intento soprannaturale. La lotta dell’uomo contro lo strapotere della natura non ha il sapore estatico della metafora di stampo herzoghiano anche se l’incredibile attacco dell’orso al protagonista solleva più di un brivido ripensando a quanto non udito e non visto nel capolavoro Grizzly Man.  I gemiti e gli sbuffi, la violenza animale, le urla sono quelle che Herzog ha voluto non mettere in pasto al pubblico. Iñárritu si. Non risparmia nulla.*Nota(1)
 Perché la natura filmata del regista messicano è palco quasi antinaturalistico (fotografia spettacolare di Emmanuel Lubezki)  di una meccanica della sopravvivenza all’estremo. Senza mistero. Iperrealistica fredda bellezza che accoglie corpi e sangue  con l’ estatica indifferenza del proscenio che poi verrà ripulito. Il lavoro di Iñárritu è spettacolare, a partire dal lavoro sul suono che circonda il protagonista disperso nella coltre di neve. Il fiato, il respiro, lo sfregamento dei ruvidi vestiti sul ghiaccio e lo sciabordio dell’acqua, la musicalità delle gocce in disgelo, il plastico rumore dei passi nella neve, il blizzard che urla senza sosta. E’ un continuo stimolo sensoriale che accresce la tensione dell’immagine.

 
Hugh rimane vittima e rinasce abbassando continuamente l’asticella dell’impossibile fino alla radice di se stesso. Una stilla di umanità che rimane accesa pescando le residue forze nei ricordi e nel dolore della perdita per garantirsi un futuro di vendetta. Futuro, passato, vendetta sono cose che la natura non contempla. I boschi il ghiaccio e gli animali sono li e vivono, muoiono ma non si vendicano. Hugh non fa parte della natura, non ne subisce il fascino e non la concepisce come eventuale ritorno al mistero della creazione. Semplicemente la conosce. Conosce il palco sul quale muoversi, ne riconosce i segni, le luci, i tempi. Su quel proscenio Hugh spende la propria umanità riuscendo a risorgere ogni volta dalle incredibili difficoltà che la storia gli mette di fronte.
Su quel proscenio Iñárritu spegne ogni riferimento religioso svuotando di senso le icone che ricorrono nel film. Una croce è ridotta a due assi inchiodate. Il martirio di Gesù è un dipinto consumato dal rogo di una chiesa.

scena

Revenant - Redivivo (2015): scena

Hugh è quello che avrebbe voluto essere lo stupido Alex Supertramp di Into the Wild nel bellissimo film di Sean Penn. Le due epopee sono speculari, Alex “sente” una natura tutta propria, poetica e idealizzata. Non la conosce e ne muore stupito dalla cattiveria di quella purezza che non lo ricambia dello stesso amore. A Hugh Glass, guida per cacciatori di pelli nel 1823 di tutto questo non gliene frega assolutamente nulla. Rispetta la natura perché potrebbe ucciderlo e sa come sopravvivere alla sua indifferenza.  Corri e spara. Taglia e sventra. Uccidi. Nuota. Accendi il fuoco. Carne cruda. Sono pochi i gesti che il protagonista deve compiere, ma devono essere quelli.


L’interesse per questo film è proprio nel ritmo serrato che Iñárritu impone, nella sua posizione di metteur en scène di un’apocalisse privata che non si eleva ad universale e architetto nel suo modo risoluto di risolverla. Per questo sciorina tutto il potenziale di regia che è possibile scaricare su un uomo già provato dagli eventi. Non basta collocare Hugh Glass nel bianco: poiché la natura di Iñárritu è semplice palco, ed egli non è documentarista,  interviene pesantemente con piani sequenza potenti (l’attacco dei Ree al campo base dei cacciatori è immersivo e realistico), primi piani atomizzati e aperture sul panorama; la telecamera che segue il protagonista, si inabissa e risorge, si tuffa nei crepacci, segue lo sparo e la morte, si impenna. Iñárritu è molto presente ed è di fatto il secondo protagonista del film. E’ contro cui combatte Leonardo di Caprio.

Leonardo DiCaprio

Revenant - Redivivo (2015): Leonardo DiCaprio

Che la vendetta si compia.

Revenant è un western dopo tutto. Ma un western atipico intanto perché non si svolge nel luogo deputato dal western classico: l’Ovest della terre di frontiera e poi perché la manichea divisione di buoni e cattivi è smembrata ed equamente distribuita per ogni personaggio del film. L’indulgenza dei massacri dall’una e dell’altra parte (nativi e bianchi) viene a meno elevando le responsabilità morali delle azioni a scelte individuali dettate da atti coscienti. Sul palco del film agisce l’uomo la cui responsabilità delle proprie azioni non viene diluita nell’appartenenza ad una fazione sotto qualsiasi comando. Buoni e cattivi quindi si mischiano e si sorprendono l’un l’altro. E ogni western che si rispetti propone il duello tra il buono e il cattivo.
Uomini persi nel ghiaccio, puntini neri nell’immacolato bianco dell’inverno. E la furia ferina dell’uomo che accordatosi alla brutalità immota della natura, la sublima in violenza vendicativa. Lo scontro finale è sanguinoso, bestiale, furibondo come l’attacco dell’orso iniziale ha innescato il processo di trasformazione di Hugh in bestia senziente che delle bestie ha rimosso dal sé più profondo la consapevolezza della propria mortalità. E’ morto e risorto.

 

Poi lo sguardo in macchina, il buio. Il respiro che continua per poi affievolirsi.  La consapevolezza ritorna prepotentemente nel corpo dell’uomo? Arriva la morte o l’uomo era già morto e non lo sapeva e ha trattenuto in sé l’ultimo respiro per poter attuare la vendetta?
Non lo sapremo mai. Ma rimane un’immagine molto forte di un film spettacolare che non si eleva mai al di là di ciò che mostra ma quello che mostra si rivela un potente esercizio di cinema.

 

 *Nota(1)

L’attacco dell’orso nei confronti di Hugh Glass è filmato in maniera iperrealistica. Una sequenza complessa, visivamente ravvicinata e dettagliata.

Quello che Iñárritu cerca è l’esplosività dell’azione  delegando alle conseguenze fisiche visibili, alla ricostruzione sonora, allo sporco e al sangue  la drammaticità della scena ponendo lo spettatore come testimone esclusivo della mattanza. La macchina da presa si appanna al fiato dell’orso e si imbratta di liquidi. Siamo lì, sotto le zampe artigliate della bestia.
Come attacca un orso? Come si fa a rendere plausibile uno scontro uomo-bestia? Si può ricorrere ad una testimonianza, estremamente drammatica perché vera, vera perché non pone il testimone in bocca all’orso. La verità è la distanza che ci separa dalla vicenda, e l’attacco dell’orso ad un povero cristo mostrata nel link è simile a quella proposta  da Iñárritu ma molto più forte dal punto di vista emotivo perché smuove in chi guarda il più intimo, atavico istinto di immedesimazione.
Iñárritu quindi con questa scelta rinuncia alla drammatizzazione per puntare sullo shock visivo ricalcando le dinamiche dell’attacco reale e moltiplicandone iperrealisticamente la percezione. E’ il ruolo della spettacolarizzazione spostare l’attenzione dalla sorte del protagonista alla meccanica degli eventi che lo pongono in pericolo. Questo è l’approccio di Iñárritu al film, riassunto proprio nella scena clou, l’evento che dà il via a tutta la vicenda.
 La verità di una messa in scena ambientata nel ‘800 direttamente da un video di youtube del terzo millennio.  

www.youtube.com/watch?v=6QCE1cA6_ac

 

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati