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L'ultima parola: La vera storia di Dalton Trumbo

Regia di Jay Roach vedi scheda film

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La recensione su L'ultima parola: La vera storia di Dalton Trumbo

di alan smithee
6 stelle

La scalata nell'olimpo della Mecca del cinema, e la rovinosa conseguente rapida caduta, di uno dei più brillanti sceneggiatori hollywoodiani di tutti i tempi, vittima illustre e simbolica di una vera e propria caccia alle streghe, conseguenza tra le più drammatiche di una persecuzione figlia dei timori della cosiddetta "Guerra Fredda".

La controversa storia di uno dei più brillanti e contesi sceneggiatori hollywoodiani degli anni '50 e '60, viene ripercorsa nei suoi tratti più significativi e drammatici, da quando l'uomo, di aperte simpatie di sinistra e ideologie filo-comuniste, viene letteralmente defenestrato dai suoi incarichi e rimane senza occupazione, come vittima esemplare, tra le tante magari meno famose, accusate di simpatie pericolose e possibili connivenze con la superpotenza russa.

Epoca di Guerra Fredda, di liste nere, di sospetti e caccia alle streghe da parte di una America che condannava senza appello anche e solo per minimi sospetti o per sentito dire, terrorizzata dalla tanto temuta ipotesi di un attacco sovietico o dalla eventualità funesta di una azione di conquista dell'Est ai danni delle libertà ostentate con fierezza ed audacia, ma a volte anche acritica pedissequa sottomissione, nell'area Occidentale del mondo.

Jay Roach, regista medio e non proprio indimenticabile di commedie più famose che riuscite (i vari Austin Power, Ti presento i miei, Mi presenti i tuoi e similari altre leggerezze se non inconsistenze), dirige un film decisamente più  maturo dei suoi precedenti, che si concentra molto sull'ambientazione, formalmente impeccabile, e la resa, palpabile ed efficace, di una atmosfera di astio e divisione, quella che rende i paladini delle cosiddette libertà occidentali, niente di meno che dei persecutori efferati e senza senno, ottusamente ostili ad accettare anche quei capisaldi di logica e buon senso che dovrebbero essere i principi ispiratori di una nazione come gli States, dove intraprendenza e libertà d'azione dovrebbero andare di pari passo con la logica e la tolleranza verso chi possiede diversi punti di vista e logiche di pensiero anche solo lievemente meno meccaniche e preordinate.

Ne emerge una figura di uomo, questo Dalton Trumbo, pacato, arguto, ironico e sdrammatizzante, ma anche fiero sostenitore risoluto delle proprie convinzioni, paladino della libertà di pensiero e della tutela delle classi più sfruttate e prevaricate, vittime designate e sacrificali di un fenomeno, il capitalismo, che, se lasciato libero e senza regole, finisce talvolta per degenerare e per trasformarsi in uno strumento lesivo delle libertà parimenti a quello delle dittature e delle tirannie più intransigenti.

Ma il film lascia spazio anche per sviluppare un ritratto intimo di un personaggio brillante e dotato, ma anche difficile da gestire e talvolta davvero sgradevole, scostante nei confronti dei propri cari, seppur in fondo amati e venerati. Un uomo circondato, per fortuna sua, da familiari pazienti e dotati di tolleranza e capacità di comprensione ben oltre la media e le statistiche più comuni.

A brillare in questo film medio, corretto, ma senza grandi balzi o momenti emozionanti, la presenza di un interprete poco noto al cinema, ma di indubbio talento come Bryan Cranston, perfetto nel ruolo controverso di Dalton Trumbo. Non gli è da meno l'ottimo Michael Stuhlbarg, nei panni del fedele ed affezionato Edward J. Robinson, star comprensiva ed amico sincero dell'orgoglioso scrittore. Affianca i due la sempre splendida, e qui dolcissima, oltre che sempre molto attraente, Diane Lane, nel ruolo della paziente e conprensiva consorte di Trumbo, mentre una ironica e sempre informatissima Ellen Mirren riveste i panni di una celebre giornalista esperta di gossip e scoop bollenti. 

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