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L'ultima onda

Regia di Peter Weir vedi scheda film

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La recensione su L'ultima onda

di degoffro
8 stelle

Il cinema di Peter Weir non è mai banale, artificioso o scontato. Dopo l'inquietante e disturbante "Picnic ad Hanging Rock" ecco un'altra opera che turba e cattura, amara ed angosciante, tesa ed affascinante: forse meno compatta del precedente film, specie nel finale eccessivamente fantastico ed improbabile, ma comunque coerente con la storia. A Sidney un avvocato nel ramo delle imposte societarie (già questo dimostra come il caso dai più sia considerato ormai chiuso) è chiamato a difendere un gruppo di aborigeni accusati di avere ucciso un loro compagno. La versione ufficiale della polizia è piuttosto debole (il morto sarebbe annegato in una pozzanghera) e denota il razzismo profondo e rabbioso dei bianchi, ed in particolare delle autorità, nei confronti degli aborigeni: "se una tazza di acqua basta a soffocare una pecora, per soffocare un aborigeno ne basterebbe mezza". L'avvocato (un efficace e convincente Richard Chamberlain) però decide di andare fino in fondo anche perché convinto dell'innocenza degli accusati verso i quali prova rispetto e amicizia: "il tuo borghesismo paternalistico verso questi negri mi fa venire la nausea", gli dice il collega. Scoprirà che il delitto ha un risvolto magico tribale e a sua volta diventerà preda di visioni catastrofiche che gli fanno intuire una verità apocalittica, sogni che non sono altro che "l'ombra di una cosa vera" e che preannunciano la fine di un'era e l'inizio di una nuova. Forse egli stesso è un Mulcrul, uomini con poteri spirituali insoliti e straordinari, dai sogni premonitori incredibili, i soli capaci di entrare in contatto con il tempo dei sogni, un ciclo spirituale infinito, parallelo al flusso oggettivo (la vita di tutti i giorni), ma più vero della vita reale, in cui quello che accade stabilisce le leggi delle tribù. Sono sogni folgoranti e all'apparenza assurdi che appaiono alla fine di un ciclo che va a concludersi con un'apocalisse, un cataclisma, comunque un evento naturale terribile. Con il consueto ed inimitabile stile allusivo Weir crea una tensione sottile, insinuante ed avvolgente, capace di entrare sotto pelle allo spettatore, scuotendolo dal suo torpore. Un'atmosfera di attesa e di angosciosa inquietudine che progressivamente cresce e porta ad un finale misterioso, forse posticcio ed esagerato, ma comunque affascinante e poco consolatorio capace di trasmettere più di un brivido. Inoltre l'indagine poliziesca serve al regista per concentrare l'attenzione sul clima di discriminazione violento ed acceso a cui sono sottoposti gli aborigeni australiani, verso i quali l'ottusa e malata mentalità bianca riserva solo odio e disprezzo, distacco e pregiudizio. Un'opera che, nonostante i risvolti magici e onirici, rappresenta una realtà cruda e sospesa, in cui c'è davvero poco spazio per la solidarietà e la complicità: solo un'ultima gigantesca onda forse potrà spazzare via tutto il marcio che inquina il mondo, non solo materialmente, ma anche e soprattutto spiritualmente, per fare in modo che inizi una nuova era, un nuovo mondo, una nuova vita all'insegna del rispetto e dell'accoglienza; non solo un sogno, ma una speranza, sembra quasi dirci Weir. Praticamente un film catartico nelle sue idee "rivoluzionarie".
Voto: 6/7

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