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L'uccello dalle piume di cristallo

Regia di Dario Argento vedi scheda film

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La recensione su L'uccello dalle piume di cristallo

di munnyedwards
8 stelle

 

Argento non inventò il giallo all’italiana, prima di lui va sicuramente considerata l’opera basilare di Mario Bava, di certo però ne mutò la forma, i colori, la struttura narrativa, il gotico che tanto bene era stato sfruttato da maestri quali Freda e appunto Bava lasciava il posto ad un inquietudine piu moderna e ad una lettura della paura piu viscerale e immediata. 

L’esordio cinematografico di Dario Argento segna un punto fondamentale nel cinema di genere italiano, il successo commerciale del suo primo film diede vita ad un intero movimento, vecchi maestri e nuovi adepti seguirono il percorso tracciato con rinnovato vigore e contribuirono alla nascita di un sottogenere che per tutti gli anni ’70 divenne molto popolare.

L’uccello dalla piume di cristallo fu un apripista non tanto per quello che raccontava ma per come lo raccontava, di innovativo non aveva di certo la trama investigativa, nè la figura del killer vestito di nero, questo si era gia visto anni prima nel cult Sei donne per l’assassino (Mario Bava 1964), persino la tanto decantata visuale in soggettiva non era una novità.

Nonostante questi presupposti l’opera d’esordio di Dario Argento fu assolutamente rivoluzionaria, un film che sorprende per la potenza della messa in scena, per la studiata e riuscita costruzione di alcune sequenze e per il vigore di un montaggio ritmato che lascia storditi ma anche rapiti dall’efficacia del risultato.

Parlando molto chiaramente, L’uccello dalle piume di cristallo non sembra un film diretto da un esordiente, la sua composizione narrativa e formale è così ben riuscita che si fatica a credere che dietro la cinepresa ci fosse un ragazzo di neanche trent’anni alla sua prima esperienza, del resto lo stesso regista confermò in più interviste la sua inesperienza, ma il talento era smisurato e la visione di un cinema originale gia chiaramente delineata.

 

scena

L'uccello dalle piume di cristallo (1970): scena

 

Di questo film si è detto tutto e il contrario di tutto, Argento nelle prime interviste sosteneva che l’idea per la storia gli venne in sogno, solo piu tardi si scoprì che le cose non stavano così, che fu addirittura Bernando Bertolucci a indicargli il romanzo La statua che urla di Fredric Brown, del resto Bertolucci e Argento avevano lavorato insieme pochi anni prima scrivendo il soggetto di C’era una volta il west di Sergio Leone.

Non ho letto il romanzo di Brown ma appare evidente che alcune similitudini fra le due storie ci sono, nel libro l’elemento catalizzatore è una statua mentre nel film diventa un quadro naif che mostra l’aggressione di una donna, sono tuttavia fattori che poco influiscono sull’analisi critica della pellicola perché il plot, pur essendo ben strutturato e abbastanza solido (non sarà sempre così con Argento), non rappresenta il punto di forza dell'opera.

Di questa pellicola restano impresse in modo indelebile alcune sequenze, ad iniziare da quella forse più famosa, l’aggressione della donna nella galleria d’arte, una scena metacinematografica che ci mostra il protagonista Sam Dalmas (Tony Musante) imprigionato tra due lastre di vetro che impotente osserva la donna ferita strisciare a terra, lui come lo spettatore può solo guardare l’orrore che si consuma davanti ai suoi occhi.

Questo drammatico mini-film diventerà un ossessione per Sam e lo spinge ad indagare sull’accaduto, ad analizzare nella sua mente frame dopo frame l'atto criminale, la donna ferita, la sagoma scura che scappa da una porta secondaria, e quel particolare rivelatore che non riesce a focalizzare, che sfugge via dal suo sguardo mentale.

Il soggeto è un giallo classico, giovani donne uccise da un misterioso maniaco vestito di nero, l’indagine del commissario Morosini (Enrico Maria Salerno) non sembra trovare sbocchi significativi, e il killer si fa lentamente più intraprendente arrivando a minacciare Sam e la sua fidanzata Giulia (Suzy Kendall).

Ma come detto è la forma a dominare tutto, l’ossessione per i dettagli sempre rivelatori, è la straordinaria sequenza di un inseguimento notturno per le vie deserte di Roma, splendidamente illuminate da un giovane ma già lanciato Vittorio Storaro, con il sottofondo jazzato di Morricone seguiamo il protagonista braccato da un misterioso killer con la faccia sfigurata di Raggie Nalder (qualcuno lo ricorderà ne L’uomo che sapeva troppo di Hitchcock), gatto e topo in un gioco di sguardi che richiama Leone, improvvisi colpi di pistola silenziata, suspense ai massimi livelli.

 

scena

L'uccello dalle piume di cristallo (1970): scena

 

Enrico Maria Salerno

L'uccello dalle piume di cristallo (1970): Enrico Maria Salerno

 

scena

L'uccello dalle piume di cristallo (1970): scena

 

E poi arriviamo alla tanto famosa visuale in soggettiva, Argento ci trasforma tutti nell’assassino vestito di nero che guarda giovani donne camminare nel buio o in pieno giorno, non fa differenza perchè il risultato finale sarà lo stesso, ma la soggettiva non viene utilizzata a senso unico, il regista ne cambia le direttive e da carnefici diventiamo vittime, nella sequenza dell’uccisione della splendida Rosita Toros la prospettiva è invertita, siamo la donna che fuma la sigaretta sul letto guardando la porta aperta davanti a noi, poi ci voltiamo per spengnere la sigaretta e quando torniamo a guardare la porta la sagoma del killer è li, pronta a colpire.

La soggettiva viene usata da Argento in diverse occasioni e diventerà un marchio di fabbrica nei suoi primi film ma in questo esordio c’è spazio anche per azzeccati inserimenti ironici e per personaggi se non proprio comici decisamente divertenti, dal protettore balbuziente/addio (Gildo Di Marco) al traffichino Filagna (Pino Patti), fino a giungere al pittore un pò matto (Mario Adorf) con la sua strana passione per i gatti, sono piccole variazioni nel contesto narrativo che stemperano un po’ la tensione rubando in alcune occasioni qualche sorriso.

Ma L’uccello dalle piume di cristallo resta sopratutto un film dalla grande potenza visiva, un esordio di rara efficacia che trasforma il regista, al tempo sconosciuto critico cinematografico e soggettista per alcuni film di genere, in una figura fondamentale del cinema italiano.

Argento proponeva una visione molto personale e sicuramente innovativa, una visione unica che nel giro di pochi anni ne ha fatto il Maestro indiscusso dell’horror italiano, un titolo assolutamente meritato.

Voto: 8

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