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L'uccello dalle piume di cristallo

Regia di Dario Argento vedi scheda film

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La recensione su L'uccello dalle piume di cristallo

di 79DetectiveNoir
8 stelle

Capolavoro. Punto e basta. Senza se e senza ma. Schietto, forte, ironico, brilliant!

Eva Renzi

L'uccello dalle piume di cristallo (1970): Eva Renzi

Eva Renzi

L'uccello dalle piume di cristallo (1970): Eva Renzi

Suzy Kendall

L'uccello dalle piume di cristallo (1970): Suzy Kendall

Tony Musante

L'uccello dalle piume di cristallo (1970): Tony Musante

 

Con l’uscita in sala dell’ultima, controversa, criticata da molti e da altrettanti amata opera cinematografica firmata da Dario Argento, ovvero Occhiali neri, qual occasione migliore per compiere, così come stiamo effettuando, una retrospettiva filmografica che, dopo la nostra esaustiva, chiara disamina in merito a Tenebre, ora riesuma, dalle caleidoscopiche, in senso figurato, memorie del suo excursus cineastico, un’altra pellicola ragguardevole e imprescindibile del suo unico e inconfondibile, a prescindere dai gusti a riguardo, percorso artistico inconfondibile.

Cioè, L’uccello dalle piume di cristallo (per il mercato internazionale,The Bird with the Crystal Plumage), suo assoluto esordio registico.

L’uccello dalle piume di cristallo, film del lontano 1970, che segna, dietro la macchina da presa, il debutto fulminante di Argento. Il quale, classe 1940, alla sola età (primato eccellente per un director italiano) di trent’anni, stupisce e ipnotizza la Critica mondiale, all’istante rimastane godibilmente allibita e positivamente senza parole, riscuotendo peraltro un ottimo successo di pubblico alquanto rilevante. Che si trovò sia spiazzato che piacevolmente scioccato da un film desueto per i canoni del Cinema nostrano, restandone, parimenti ai critici, assai stupito e impressionato.

Rarissimamente, infatti, prima di allora, con netta schiettezza e rasoiate, non solo in senso metaforico (trattandosi di un thriller ricolmo di persone squarciate da lame affilate), il nostro Cinema aveva assistito a qualcosa di simile.

Cosicché, L’uccello dalle piume di cristallo divenne immantinente un film di culto. Ciò non significa, attenzione, che sia un film totalmente originale anche dal punto di vista stilistico e che Argento, conseguentemente, non avesse tratto ispirazione da altre opere sviluppate analogamente dai suoi predecessori. Anzi, tutt’altro.

Come ampiamente espressovi nella nostra recensione di Tenebre, Dario Argento non ha inventato nulla e di certo il Cinema giallo e di paura non è nato con lui. Però, Argento, fin da subito, impose e tutt’ora impone fortemente, nonostante venga accusato di essere bollito e superato, i suoi indimenticabili, taglienti e autentici, graffianti stilemi potenti e, in maniera incontrovertibile, appartenenti riconoscibilissimamente alla sua personalissima poetica lucente e, a suo modo, imparagonabile a nessun altro venuto prima di lui e successivamente.

Chiaritici su questo, andiamo avanti... anzi, per l’appunto, torniamo indietro nel tempo e giungiamo al film suddetto da noi, in tale sede, preso in analisi, L’uccello dalle piume di cristallo.

Film della durata di novantasei minuti, sceneggiato dall’inizio alla fine a partire da un soggetto originale dallo stesso Argento, ispirato liberamente al romanzo La statua che urla di Fredric Brown.

Eccone la trama...

Sam Dalmas (Tony Musante) è uno scrittore trasferitosi, da un po’ di tempo, a Roma, ove si spaccia per semplice lavoratore d’un laboratorio di scienze naturali. Lavoro temporaneamente trovatogli dal suo miglior amico, Carlo Dover (Renato Romano). Afflitto dal celeberrimo e fantomatico, persino sintomatico blocco dello scrittore in crisi d’ispirazione, durante una serata serafica e apparentemente calma, di ritorno alla sua casa romana, nel mentre della sua placida e contemplativa passeggiata indisturbata, assiste involontariamente alla brutale aggressione spietata, da parte di un maniaco vestito completamente di nero e mascherato in faccia, compiuta verso una donna di nome Monica Ranieri (Eva Renzi). Fattaccio avvenuto, dinanzi ai suoi occhi inorriditi ed esterrefatti, all’interno d’una galleria d’arte contemporanea. Il maniaco, avvedutosi di essere visto da qualcuno, vigliaccamente fugge via alla svelta prima di poter uccidere Monica, pur avendola accoltellata e lasciandola in fin di vita.

Sam Dalmas avverte subito un passante di chiamare immediatamente la polizia che, presto, giunge sul luogo del tentato omicidio, fortunatamente sventato, come poc’anzi dettovi, per l’intervento previdente del nostro eroe per caso. Che, nel frattempo, cioè nel breve lasso di tempo intercorso fra l’arrivo delle forze dell’ordine e i prestati soccorsi alla povera donna aggredita pericolosamente, ha osservato molto da vicino quest’ultima, dalla vetrata, assistendo alla sua disperazione stampatale nel suo viso contortosi in smorfie di raccapriccio, sgomento e dolore pauroso davvero costernante e allucinante, specialmente disturbante e toccante. Dalmas, essendo l’unico testimone oculare della scena del crimine, ripetiamo, fatalmente non concretizzatosi e portato a termine interamente, viene dapprima, come purtroppo sempre accade da prassi investigativa, indagato e sottoposto a una sorta di terzo grado dal rigido commissario, anzi, per meglio dire più pertinentemente, ispettore Morosini (Enrico Maria Salerno). Il quale però, istantaneamente, abbandona i suoi dubbi, inizialmente da lui avanzati, nei riguardi dell’incolpevole e innocente Dalmas. Ritirandogli al contempo però il portafoglio e impedendogli di poter far presto ritorno negli Stati Uniti. Dalmas, cosicché, volente o nolente, poi crescentemente coinvolto empaticamente, inevitabilmente dalla vicenda accadutagli e soprattutto occorsa ai danni della Ranieri, psicologicamente ed emotivamente sempre più lui stesso morbosamente provato e attrattone al fine di volervi vedere sempre più chiaro e trasparentemente, dentro la sua anima comincia a interrogarsi scrupolosamente ed eticamente in merito, pian piano in maniera inconsciamente più approfondita e introspettivamente torbida. Recandosi poi personalmente presso l’abitazione della Ranieri che, dopo essere stata assistita di pronto intervento medico in ospedale, è stata dimessa. Lei è assente e Dalmas interloquisce soltanto con suo marito, l’antipatico e fin troppo riservato, schivo Alberto (Umberto Raho). Morosini, intanto, fa visita a sua volta a Dalmas, conoscendo la sua avvenente moglie Julia (Suzy Kendall). Con la quale ha un veloce battibecco.

Il maniaco, già macchiatosi di altri orridi ed efferati delitti sanguinari da lui effettuati in modo aberrante ancor prima di aver tentato di uccidere la signora Ranieri, sta continuando, a piede libero e non preoccupato delle indagini a suo carico, a mietere altre vittime, colpendo impunemente senza sosta alcuna.

Sarà catturato e, soprattutto, chi si cela dietro il suo volto bendato? Tale oscuro mistero sarà svelato e la vera identità del maniaco sarà finalmente scoperta e metaforicamente denudata?

Il finale sarà inaspettato e scioccante? O il nome del maniaco rimarrà un’incognita avvolta solo da inquietanti punti di tante indagatorie domande senza risposta catartica?

Film progenitore di altri a venire, primo film di Argento e del suo intoccabile stile innegabile.

Eccelsa fotografia di Vittorio Storaro, musiche di Ennio Morricone e un parterre d’attori impeccabili per un film geniale che, a distanza di più di cinquant’anni dalla sua uscita nelle sale, continua a possedere un fascino malsano veramente abissale e perturbante a livelli incommensurabili.

Sapiente e sofisticatissimo nel mescolare pathos e suspense cristallina, purissima, alternando i più angoscianti momenti di paura a frangenti grottescamente esilaranti come nell’episodio del prefinale con uno strepitoso Mario Adorf nei panni del pittoresco pittore (voluto gioco di parole) Berto Consalvi, mattacchione che dipinse un quadro centrale nella narrazione del film, ispirato per paradosso bestialmente ironico a un pazzo assassino che, una decade prima degli avvenimenti descrittici, massacrò una donna a colpi di ferali pugnalate letalmente mortali.

Consalvi, un uomo eremitico che vive in un fatiscente casolare abbandonato e che si ciba di gatti da lui allevati e ingrassati...

Peraltro, in maniera generalista, L’uccello dalle piume di cristallo è il primo film della Trilogia degli animali del nostro Dario nazionale che si sarebbe poi finalizzata con Il gatto a nove code e 4 mosche di velluto grigio.

 

 

di Stefano Falotico

 

Enrico Maria Salerno

L'uccello dalle piume di cristallo (1970): Enrico Maria Salerno

 

 

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