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45 anni

Regia di Andrew Haigh vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su 45 anni

di alan smithee
7 stelle

Quarantacinque anni di vita trascorsi assieme, che per una coppia senza figli, probabilmente corrisponde ad una convivenza ancora più intima, reciprocamente dipendente ed indissolubile tra ognuno dei due coniugi: quasi una simbiosi che rafforza ed unisce nel periodo in cui si affronta l’inesorabile processo della decadenza, fisica e quasi sempre pure cerebrale.

Poi una lettera in tedesco, e per questo anche oscura e poco comprensibile, indirizzata all’uomo, riapre, nello stesso individuo, un mondo passato, un capitolo ormai chiuso tragicamente, una vita precedente, che riesce a mettere in subbuglio, o letteralmente a repentaglio, un equilibrio e una serenità interiore destinata ad essere suggellata con una festa in onore dell’anniversario degli imminenti 45 anni di nozze.

Il ritrovamento del corpo, a quanto pare perfettamente conservato ed intatto alla condizione della giovinezza, della prima fidanzata dell’uomo, deceduta cinquant’anni prima in seguito ad una caduta in un ghiacciaio delle Alpi Svizzere, apre tra Kate e suo marito una fessura dolorosa destinata a mettere in forse il destino di un rapporto più che consolidato e a creare una turbolenza lacerante dopo decenni di serenità coniugale ed una intesa pressoché perfetta.

Dopo “Weekend”, il bravo regista Andrew Haigh torna a scavare nei meandri di una storia a due: questa volta una coppia di tipo tradizionale e consolidata. La scelta di insistere sul quotidiano, sulla banalità di una routine giornaliera che tuttavia è il vero segreto di una serenità che contraddistingue uno stile di vita di coppia, è il modo più riuscito ed efficace per farci penetrare più a fondo nel clima di disorientamento che incombe da un momento all’altro su Kate, la moglie che, da un’apparizione inaspettata, vede vacillare il suo ruolo di moglie attuale e pure quello del passato.

La donna perde fiducia nel suo ruolo di compagna e moglie indispensabile, e viene assediata da dubbi ed angosce, fino a riconoscere in tutti quegli anni tra gli angoli tranquilli e taciturni di una casa abitata solo da adulti, il fantasma di una presenza fondamentale che, in modo sottile e completamente trasparente (nel senso di evanescente), ha finito, non senza malizia e una sottile perfidia di fondo, per condizionare scelte di coppia e decisioni anche di secondo piano, che i coniugi erano convinti di aver intrapreso deliberatamente su reciproca deliberata condivisione.

L’ambientazione agreste ovattata, quasi irreale e statica nel suo ossessivo ripetersi in eterno con gesti ed azioni come passeggiate con cane e attimi di intimità domestica, diventa il teatro di un piccolo grande tormento interiore che sfocia, ironia della vita, proprio in concomitanza con la celebrazione ufficiale della riuscita di una unione che si perde nei decenni.

Haigh cerca di scavare nell’intimo quotidiano dei protagonisti, ed ha la fortuna o la scaltrezza di ingaggiare due superbi attori del tenore di Rampling + Courtenay che rendono palpabile la tensione, l’incertezza che pervade i loro rispettivi personaggi inducendo l’uno ad andare avanti ed affrontare di petto il ritrovamento, l’altra invece a trattenere verso sé il suo uomo, frutto di una conquista che ormai glielo ha reso unico come un diritto inalienabile ed indiscutibile, che nemmeno il ritorno di un fantasma può e deve cercare di portale via. Opportuno, doveroso, e forse quasi scontato l'Orso d'Oro all'interpretazione, ricevuto da entrambi in occasione della Berlinale 2015.

Il film appare strutturato, specie inizialmente, come in un thriller claustrofobico da camera che via via riacquista possesso degli spazi aperti e della vita, che continua poi, nonostante tutto, e finisce per ritrovarsi all’interno di una celebrazione un po’ scontata, superficiale, ridondante, più necessaria agli altri che alla coppia in sé, scossa forse, ma non certo sopraffatta dall’eccezionalità dell’avvenimento.

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