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A Bigger Splash

Regia di Luca Guadagnino vedi scheda film

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La recensione su A Bigger Splash

di EightAndHalf
8 stelle

Per realizzare La piscine, Jacques Deray aveva pensato di illustrare le passioni e le amenità di un gruppo di borghesi isolati dal mondo con un tono freddo e distaccato che non mettesse in pericolo lo sguardo dello spettatore, che sarebbe stato solo un po' provocato dalle quasi nudità di Alain Delon e Romy Schneider, ma avrebbe subito riconquistato tutte le sue certezze con la centrale svolta thriller e il piattissimo finale giustizialista. Luca Guadagnino riprende La piscine di Deray, ma non ne fa un tributo. Non facendo succedere quasi nulla nel suo film, specie nella prima parte, ma riempendolo di sequenze in cui i quattro protagonisti dialogano, ballano, festeggiano, e cominciano a 'scoprirsi', il regista siciliano decide piuttosto di lanciare sguardi sfacciati al cinema classico, e anche contro lo spettatore ad esso avvezzo. A Bigger Spash è effettivamente un tuffo e uno schizzo più grandi di quanto potessimo immaginare. Pieno di difetti più o meno grandi, ma affascinante per come riesce ad essere sfrontato da un punto di vista squisitamente cinematografico.

 

 

Ambientato a Pantelleria e incentrato sulle attrazioni reciproche che i quattro protagonisti cominciano a maturare nella tranquillità di una villa con piscina, A Bigger Splash comincia fin da subito a "giocare" con l'occhio dello spettatore, e anche a prenderlo allegramente in giro. Le prime immagini, che contemplano la Swinton e Schoenaarts nudi sul bordo piscina a rilassarsi e a prendere il sole, rompono già con la tradizione (perché, nonostante le qualità dubbie, La piscine di Deray fu un grande classico). Piuttosto che soffermarsi sui corpi - comunque ben indagati-, Guadagnino accelera tutto, abbrevia notevolmente la durata della prima audace sequenza del film francese, liquida in fretta un appassionato amplesso maturato dentro la piscina fra i due e fa subito giungere sull'isola l'amico di lui ed ex-amante di lei, Harry (Ralph Fiennes scatenatissimo), e a sorpresa la figlia, Penelope, interpretata qui da una neo-Leolita Dakota Johnson che fa correttamente il suo lavoro dando maggiore spessore alla un po' smorta ma bellissima Jane Birkin dell'origine, sotterrata ai tempi da un ruolo poco ben scritto.

A quel punto il film prende una svolta inaspettata, antitetica alle scelte di Deray.

 

 

Il personaggio di Harry irrompe nella solitudine autoimposta della coppia (lui tecnico e cameraman di documentari, lei celebre rockstar), e porta nella casa - e nel film - un fremito di eccitazione contagiosa. Logorroico, sfacciato, spesso grottesco, presta a Guadagnino la possibilità di realizzare almeno un paio di sequenze eccezionali in cui tutti cominciano a muoversi e a ballare, e Guadagnino ruota e sobbalza e si gira di scatto e si dimena come i suoi personaggi per assaporarne l'energia vitale. La cinepresa del regista non si dimentica mai che i suoi protagonisti sono soprattutto corpi in mostra, e indugia volontariamente sulle loro fattezze facendoceli conoscere a pieno, fisicamente, anche con una serie di sequenze erotiche che sanno trattenersi dalla facile provocazione. Intanto la figlia Penelope osserva un po' sardonica i tre adulti divenendo spettatrice (e poi legittima protagonista) delle vecchie trame sentimentali che muovevano i tre, imponendosi sempre allo sguardo con un fare a tratti ingenuo a tratti quasi esibizionistico.

Nel film di Guadagnino tutti i personaggi hanno pretese sulla propria apparizione nell'immagine. I loro movimenti sono scenografici.

 

 

I drammi dei corpi e delle pulsioni non si concludono, e non ci lasciano indifferenti. Guadagnino arricchisce il lungometraggio di una serie di sequenze accelerate che osservano nei particolari i dettagli delle cose e li rendono parte in causa degli eventi. La storia di A Bigger Splash è infatti innanzitutto una storia della superficie, dell'immagine e dell'apparire. Ognuno è in posa, come in un archetipico e quasi kitsch metodo di corteggiamento all'occhio. Tutti e quattro corpi più o meno piacenti da offrire al desiderio. Desiderio stemperato dal contesto, un paesaggio violento molto poco bucolico, ma selvaggio.

 

 

In questa intelligente operazione che è in sé un distinguo fra la sana provocazione e il banale ammiccamento, il regista siciliano ripercorre gli svariati eventi tragici che caratterizzano anche La piscine, ma confondendoli e disorientandoli. La svolta thriller qui pone fine al trionfo della messa in mostra, il che rivela una nuova chiave di lettura sui rapporti fra i personaggi: tutti sconsolatamente soli, convinti che la passione possa colmare tutto, finalmente mostrano la loro interiorità. Si pensi alla Marianne della Swinton, che si dichiara felicissima del rapporto carnale con Schoenaarts (con cui mai, in effetti, si scambia effusioni propriamente sentimentali), e si pensi alla Penny della Johnson che, soddisfatto il proprio desiderio, può dire serenamente conclusa la propria vacanza.

E infatti, quando la dimensione etico-morale entra in gioco, insieme alla colpa e alle conseguenze del desiderio cieco, i rapporti rivelano la loro pochezza, mentre ancora però Guadagnino continua a osare con la sua cinepresa elettrizzata (lo svuotamento della piscina e il gioco di forme fra il tubo e il serpente), così da evitare pericolose derive moralistiche. E' con questa scissione fra la disillusione improvvisa dei personaggi e il mantenimento di un energico stile di ripresa che Guadagnino permette allo spettatore di prendere le distanze dai suoi protagonisti.

 

 

A quel punto diventa fondamentale l'uso dell'ironia, che estremizza alcuni luoghi comuni conducendoli all'assurdo. Un modo di agire che qualcuno riterrà offensivo (l'immagine dei carabinieri italiani è un po' ridicolizzata), ma che è ben cosciente di sé. Come quando, sugli immigrati, Corrado Guzzanti pronuncia una battuta divertente che la dice lunga sul gusto di trovare i capri espiatori.

Un film energico, sfrontato, sotterraneamente cinico ma divertito, che saprà dividere ma che certo non ci aspettiamo, e che sa deridere anche se stesso, inevitabilmente mandando in cenere alcune certezze. Di film italiani così non se ne vedono mai.

 

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