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Suburra

Regia di Stefano Sollima vedi scheda film

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George Smiley

George Smiley

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Suburra

di George Smiley
8 stelle

Pioggia su Roma capitale. Pioggia sul litorale di Ostia. Pioggia sulle rovine dell'Italia. Piove, purtroppo, sul bagnato.

locandina

Suburra (2015): locandina

Cos'hanno in comune il politico corrotto Filippo Malgradi (di cui è facile intuire l'affiliazione politica), il boss mafioso di Ostia Numero 8 e la sua compagna Viola, il factotum delle più potenti famiglie malavitose Samurai e il cardinale Berchet? Affari. Sporchi affari. Politica, religione e malaffare appartengono tutti allo stesso universo, i loro destini si intrecciano in investimenti di milioni e agguati notturni ai danni degli oppositori, tutti uniti nel giro di soldi e inciuci che gravitano intorno alla (fu grande) città di Roma e al litorale romano. Tu fai un favore a me, io ne faccio uno a te. Obiettivo? Fare approvare in parlamento una legge sulla gestione di Ostia per poter dare il via a un cospicuo numero di investimenti e al malaffare per trasformarla in una sorta di Atlantic City italiana. Ma dato l'alto numero di investitori non possono non esserci conflitti tra bande e l'imprevisto che coinvolge il politico Malgradi è la scintilla che fa scoppiare la polveriera e causa il terremoto che coinvolgerà tutti i partecipanti, da cui saranno in pochi a salvarsi. Tutto questo nei giorni che precedono la caduta del governo (indovinate quale) e le dimissioni del papa (indovinate quale), posizionate a stretto contatto per dare un senso di apocalisse imminente e di avvicinamento alla fine di un'era, mostrandone gli ultimi rigurgiti e suggerendoci che l'epoca successiva, al netto di alcuni cambiamenti formali, adotterà le stesse politiche di quella precedente, solo con nuovi interpreti. Perché il marciume che risiede nelle stanze del potere e nei bassifondi della criminalità organizzata non scompare, si ricicla. Morto un papa, se ne fa un altro. Caduto un governo, è pronto quello successivo. Eliminato un boss, un altro prende il suo posto. E così via fino all'infinito, a tal punto che non si ricorda neanche quando questo ciclo sia cominciato. Possibile che ci sia sempre stato? Probabile. E chi è che ne fa le spese? Manco a dirlo la gente comune, distante anni luce dagli intrugli mescolati nel parlamento, inerme di fronte all'onnipotenza degli interessi mafiosi, indifesa nel bel mezzo della tempesta, costretta a convivere con sparatorie addirittura nei centri commerciali e davanti casa (avete notato che in tutta la durata del film non si vede mai un poliziotto e ancor meno si sente una sirena dei carabinieri in lontananza? Questa è una delle cose più agghiaccianti, la prospettiva di un Far West urbano in cui la legge è completamente assente o, ancor peggio, asservita ai poteri forti e collusa col crimine), risiedente in un mondo separato dall'intangibile palazzo di cristallo della politica, costretta nei confini di uno stato che gli rifiuta qualsiasi tutela o, per lo meno, attenzione. In questo caso a farne le spese sono la giovane prostituta Sabrina, trattata come un oggetto e danno collaterale delle operazioni di Malgradi e delle cosche mafiose, e l'organizzatore di feste Sebastiano, ricattato dal brutale boss del clan degli Zingari Manfredi Anacleti (il lato più animalesco, arrogante e ferino della mafia) per i debiti contratti dal padre precedentemente suicidatosi, il quale impaurito non cercherà mai di denunciare il sopruso di cui è vittima assecondando le richieste del mostro (perché tale è) fino a diventare un suo possedimento e venendo spogliato della sua dignità. Unica via d'uscita rimasta? La giustizia privata. Perché in un paese del genere è l'unica alternativa rimasta alla sottomissione, reagire alla violenza con maggiore violenza. In questa nazione non c'è innocenza, non c'è giustizia, non ci sono ideali, ci sono solo gli interessi personali e i tornaconti dei potenti, i quali dominano la scena completamente indisturbati. Emblematica la scena della festa in cui i componenti del partito al governo pensano a gozzovigliare e a divertirsi a spese nostre proprio alle porte delle imminenti dimissioni del premier, indifferenti alla situazione di crisi della loro stessa leadership, semplice mezzo di arrivismo e di legittimazione del loro alto tenore di vita dovuto alla corruzione e alla collusione con la mafia. Solo verso la fine del film Stefano Sollima dà uno scossone alla trama facendoci credere che anche i potenti non sono intangibili: Filippo Malgradi, caduto il governo, non riesce a fare di meglio che rincorrere l'automobile con a bordo l'ex premier urlandogli la sua disperazione per la fine improvvisa della (sua) festa, conscio di non essere più un intoccabile; il mafioso Manfredi viene ucciso dall'esasperato Sebastiano in un rigurgito di dignità, il quale risponde ai soprusi subiti con una morte atroce per il suo aguzzino; Numero 8, reo di aver scatenato la guerra tra Famiglie e di non aver fatto niente per farla cessare, viene ucciso a sangue freddo da Samurai con tutti i suoi uomini meno Viola, riuscita a trarsi in salvo miracolosamente; e persino Samurai, che fino ad allora ci era sembrato al di sopra di tutti, onnipotente, temuto e rispettato, capace di attraversare con sicurezza il guado romano senza infangarsi i pantaloni, viene ucciso come un cane sotto casa di sua madre da Viola, desiderosa di vendicare il suo uomo Numero 8. Ma sappiamo già che i loro posti verranno presi da qualcun altro, messo lì dai veri potenti, quelli che non scorgiamo neppure per un secondo in 130 minuti di durata. E l'inquadratura finale di Viola sotto ad un portico che guarda la piovosa notte romana prima di andarsene, ribadisce che la nostra nazione è un enorme e denso acquitrino su cui si abbatte il diluvio universale, impossibilitata a qualsivoglia riscatto e destinata ad essere sommersa dal fango.

scena

Suburra (2015): scena

Stefano Sollima si dimostra abile e innovativo regista di genere, offrendoci uno spaccato potente ed epico dell'Italia odierna e in particolare della sua capitale, caput mundi della corruzione e del marciume politico e criminale, grazie anche alla cupa fotografia di Paolo Carnera che dà un tocco di classe a questo noir moderno intriso di bieco realismo e sordida violenza, capace di ritrarre impietosamente il feroce universo che, ormai neanche tanto nascosto, comanda e muove i fili delle nostre vite in questa gabbia di bestie scatenate. Un plauso infine agli attori: Pierfrancesco Favino è inappuntabile nella sua deprecabilità e ostentata ipocrisia, Elio Germano si riconferma un "giovane favoloso" capace di dare intensità ed espressività ad ogni personaggio interpretato, Claudio Amendola fornisce una prova da caratterista navigato sprizzando da tutti i pori autorevolezza e minacciosa volontà, Alessandro Borghi è bravo e funzionale nel ruolo di Numero 8 ma ancora meglio fa Greta Scarano nella parte della sua fedele e coraggiosa fidanzata tossicodipendente, così come sono bravi Giulia Elettra Gorietti (in un ruolo dolce e innocente che fa da contrappunto alla sua interpretazione di una prostituta) e Adamo Dionisi (violento e animalesco nei panni del bestiale Manfredi). La colonna sonora degli M83 è infine parte portante e fondamentale del film, integrandosi meravigliosamente con le scene e contribuendo all'intensità voluta dal regista.

Suburra segna l'apice del cinema di genere italiano contemporaneo, indicando una via meno convenzionale, più spettacolare ed introspettiva nel panorama nostrano, lontana dai soliti schemi ormai consolidati del melò alla Sorrentino e dai drammi familiari che tanto piacciono alla critica italiota.

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