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Suburra

Regia di Stefano Sollima vedi scheda film

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La recensione su Suburra

di GIANNISV66
9 stelle

La faccia dell'Onorevole Malgradi è la maschera plastificata dell'ipocrisia di una classe politica malata, asservita agli interessi di pochi e segnata dall'arroganza di chi ha la convinzione di poterla fare franca in ogni circostanza.

Burattini manovrati da quelle frange malate della società che una classe dirigente seria e responsabile dovrebbe combattere con la massima risolutezza, completamente distaccati ormai da quella massa di gente onesta e rispettosa della legge che dovrebbero tutelare e, soprattutto, dovrebbero rappresentare nelle massime istituzioni. Puttanieri sottomessi alla loro depravazione, tranne tornare tra le pareti domestiche per rimettersi la divisa del padre di famiglia.

Ed è la faccia con cui si apre l'ultimo film di Stefano Sollima (e da questi dedicato al padre, l'indimenticabile Sergio da poco scomparso), Suburra.

 

Elemento dominante in questa pellicola è la pioggia che cade incessantemente su una Roma ritratta attraverso una fotografia intensa ed emozionante. L'acqua, elemento primordiale simbolo di purificazione, si scaglia con violenza sulla metropoli corrotta e malsana, splendida per come viene catturata nei suoi scorci, in stridente contrasto con il degrado morale e sociale che si nasconde dietro le facciate ricche di storia dei palazzi antichi.

Le immagini del tombino che esplode e della strada che si allaga nelle battute conclusive della vicenda assumono la valenza della resa: la corruzione è talmente profonda che non basta la forza dell'elemento naturale, l'acqua non riesce a far altro che invadere gli spazi in superficie e scivolare sulla corazza del degrado morale.

Dopo aver dimostrato con ACAB - All Cops Are Bastards e con Romanzo Criminale – La serie di possedere i mezzi narrativi adeguati per raccontare i mali dell'Italia di oggi e il profondo disagio che si nasconde dietro una società che resta a galla con difficoltà tra le onde della crisi di valori morali e pure materiali, Stefano Sollima realizza un'opera di grande respiro e parla dei nervi scoperti di un paese che non è mai riuscito a chiudere i conti con il suo passato recente e ne continua ad aprire nel suo presente.

In sette giorni (quelli che nel novembre del 2011 precedettero la caduta del governo Berlusconi, mai nominato, scelta assolutamente coerente poiché questo non è un film ad personam ma la denuncia spietata di una deriva morale che coinvolge le istituzioni del nostro paese, e i nomi dei protagonisti cambiano nel tempo ma non cambia la sostanza) accadono una serie di avvenimenti che travolgono i vari protagonisti: l'Onorevole con cui abbiamo aperto questa recensione (uno straordinario Pierfrancesco Favino, faccia di bronzo della classe politica nostrana), e di seguito a lui una serie di personaggi tutti legati a una squallida (ed ordinaria) storia di speculazione edilizia. Il boss di Ostia ha la faccia intensa e stravolta di Alessandro Borghi, emblema di una malavita violenta e strettamente correlata al potere, virus devastante, all'interno di una società già di per sé malata, che ha la capacita di autorigenerarsi e di presentarsi con la stessa violenza dietro facce nuove: ieri il Freddo e il Libanese oggi Numero Otto, ieri la Banda della Magliana oggi i nuovi boss.

A gettare un ponte tra il paese sull'orlo della sfascio trent'anni fa e su quello non meno malandato di oggi una figura emblematica: Samurai, ultimo rappresentante proprio di quella banda della Magliana sopra citata (il personaggio si richiama al Nero) e riciclatosi nel presente come referente degli speculatori legati alla criminalità organizzata.

Samurai che dietro la facciata di paciosa ordinarietà (un ottimo Claudio Amendola) nasconde la storia di decenni di misteri italiani, collusioni tra politica corrotta, eversione fascista e associazioni mafiose.

Ma la cosa veramente rilevante è che nessuno di tutti questi è, nel suo contesto, personaggio di primo piano. Non lo è Malgradi che di fatto è uno che opera nel sottobosco parlamentare accollandosi il “lavoro sporco”, non lo è Numero Otto e non lo è neanche il capo della banda di “cravattari” (Adamo Dionisi) che tenta di fare il salto di qualità, compendio della violenza più bestiale (e destinato a una fine da contrappasso dantesco). Non lo è neppure Samurai, temuto e rispettato da tutti ma di fatto ridotto al ruolo di referente delle “famiglie” ( ed è pleonastico specificare di quali “famiglie” si parli) che vogliono investire i loro soldi nella nuova Las Vegas che si vorrebbe creare sul litorale di Ostia.

 

Suburra è una storia spietata, narrata con mano lucida da un regista che dimostra di essere tra i migliori del nostrano panorama cinematografico. Una storia avvincente, complessa, e che forse proprio per la sua complessità registra ogni tanto qualche passaggio più debole (ma approfondire certi aspetti avrebbe allungato una trama di per sé già poderosa). Regista abile a sfruttare anche le figure di contorno: il viscido pierre, organizzatore di feste e festini per i potenti. Sebastiano (Elio Germano), la bellissima Sabrina, escort destinata a rimanere stritolata in un ingranaggio di cui non ha capito la portata (la splendida Giulia Elettra Gorietti) e la donna del boss di Ostia, Viola (Greta Scarano, la vera sopresa del film insieme a Borghi) tossica e perduta, maschera da tragedia greca cui spetterà il ruolo da protagonista nell'atto finale.

Nota conclusiva per la straordinaria colonna sonora che contribuisce all'intensità delle scene, musica elettronica ma di forte suggestione, note malinconiche che sottolineano la tragicità della vicenda e che cadono sullo spettatore, dolci ma taglienti come le gocce pioggia che accompagnano tutte le scene di questa pellicola.

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