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Poltergeist

Regia di Gil Kenan vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Poltergeist

di amandagriss
4 stelle

 

a volte ritornano....

 

Kennedi Clements

Poltergeist (2015): Kennedi Clements

 

Fino a qualche anno fa pensavamo che a martoriare gli horror movies del passato (quelli di fine ’70 e del decennio ’80) fosse esclusiva prerogativa della Platinum Dunes di Michael Bay, specializzata nei rifacimenti di opere appartenenti al genere, a volte aggiornati ai nostri tempi, ma, il più delle volte, inerte e ignobile ricalco destinato già in partenza all’oblìo.

Oggi, invece, alla luce delle ultime scelleratezze in materia di remake (La Casa), possiamo tranquillamente asserire che la Ghost House del regista Sam Raimi sia la migliore candidata a contendere il podio a Mr. Bay e alle sue produzioni patacca.

E così Raimi, con la complicità dell’oramai prezzemolina Blumhouse, riporta in sala il mitico Poltergeist diretto da Tobe Hooper, sebbene sia a tutti gli effetti esclusiva creatura di papà Steven Spielberg.

Ebbene, l’inevitabile confronto che ne deriva (è praticamente impossibile giudicare questa ‘nuova versione’ senza tirare in ballo quella originale del 1982) vede il nuovo soccombere al vecchio.

Come volevasi dimostrare.

Il film di Gil Kenan vanta l’indubbio merito di aggiornare la storia a monte per inserirla/adattarla al nostro quotidiano: la crisi economica che non lesina vittime, la realtà (solo sfiorata) di internet, l’inquinamento elettromagnetico, e per di più si sforza, con risultati alterni e discutibili, di reinventare alcune delle geniali trovate di sceneggiatura che hanno reso memorabile (per gli amanti dell’horror e non) la pellicola capostipite.

Ma questo Poltergeist è, purtroppo, scritto malissimo.

Se inizialmente fa sperare in qualcosa di buono e dignitoso, a metà dell’opera il meccanismo che pareva perfettamente oliato s’inceppa, tira avanti singhiozzando per poi crollare miseramente nel pessimo finale da famiglia felice, che scorrazza in automobile come nel più classico degli spot pubblicitari (a un certo punto compare finanche lo stemma della Mini Minor!!).

Non basta una direzione capace e gli effetti speciali forti delle moderne tecnologie digitali per rendere accettabile un film dell’orrore.

Nel caso, poi, di presenze impalpabili, non necessariamente visibili, è importante riuscire ad imbastire una fitta e solida tensione che catalizzi a pieno lo sguardo e le emozioni di chi vuol stare al gioco, come d’altronde è fondamentale rivelarsi abili nello stuzzicare l’immaginazione piuttosto che azzerarla, secondo l’errata convinzione che è meglio mostrare tutto e pure di più invece che lasciare al singolo spettatore la possibilità di farsi il suo ‘film’ personale sulla base degli elementi forniti dalla pellicola.

Perché solo ‘mostrando’, la colonnina dei turbamenti raggiunge i picchi massimi,

perché quando si concepisce un film di paura è bene considerare la pigrizia intellettiva ed emotiva dello spettatore-tipo moderno, assuefatto oramai alla cultura dell’immagine… e altre castronerie del genere.

Ma ciò che rende assolutamente sconcertante questo nuovo Poltergeist è l’attenzione riservata ai personaggi, che si tratti della famigliola felice in questione o del gruppo di medium/parapsicologi giunti a salvare i poveri (in ogni senso) malcapitati.

I caratteri, tutti, sfiorano la macchietta.

A troneggiare sono senz’altro il personaggio del padre, il bravo (altrove) Sam Rockwell. Per niente convinto della sua partecipazione al progetto, sembra piuttosto interessato a relegarsi quante più scene possibili da ‘gestire’ in solitaria (è pur sempre Sam Rockwell per dindirindina!); e che si stenda un pietoso velo sulle squallide battute che pronuncia.

Accanto, il figlioletto, il secondogenito che nell’opera originale veniva ‘rapito’ dall’albero secolare presente nel giardino di casa (uno dei momenti clou del film di Hooper-Spielberg che qui viene depotenziato e reso altamente ridicolo). Da appena simpatico ragazzino sensibile e impaurito persino della sua stessa ombra si trasforma -per merito di una scrittura schizofrenica e cialtrona- in un irritantissimo superbambino-genio-primo della classe che tutto intuisce, conosce e risolve, fastidiosamente loquace, che prende il toro per le corna, come si suol dire, scavalcando mammà e papà impegnati a piagnucolare e a limitarsi a fare la voce grossa.

Senza parlare della figlia adolescente primogenita, la classica nullità che andrebbe bene per gli ‘amici’ di Unfriended, il cui personaggio nel film dell’82 pensava bene di togliersi dal trambusto generale autoesiliandosi, non prima però di aver assestato un audace fuckyou, col dito medio, agli operai presenti in casa. Invece, qui ci allieta della sua inutile presenza fino alla fine dei mesti giochi.

Magari l’avesse inghiottita la fanghiglia spuntata dal pavimento del garage.

Manca la figura forte e determinata della madre, la vera colonna portante della famiglia (l’attrice che la interpretava in origine, Jo Beth Williams, è assolutamente indimenticabile, come lo è, del resto, l’attore che incarnava all’epoca il padre, il massiccio Craig T. Nelson).

L’invisibile cordone ombelicale che lega la madre ai suoi figli, in questo film, pare reciso a malo modo.

Forse perché la famiglia dei nostri tempi non è più quella di una volta.

In effetti, a vedere come agiscono costoro sullo schermo, viene da concludere che i ruoli, oggi, in materia di parentele strette, sembrano confusi, mescolati. I figli fanno i genitori e i genitori si comportano come se i figli fossero loro.

Aggiungendo che il tutto è sempre condotto in modo approssimativo e grossolano.

E certo, non aiutano le nuove idee innestate nel vecchio script, evidentemente ritenute originali e assai vincenti, come lo stato d’allucinazione che invade l’assistente medium scettico fino al midollo, il quale, forse (ma né l’espressione del volto né la scrittura ce lo conferma), si ricrederà.

E la presenza, francamente ridicola, del ghostbuster mediatico di turno, fortemente voluto dagli ‘autori’ probabilmente sulla scia delle più simpatiche canaglie del sottovalutato Esp - fenomeni paranormali (Grave Encounters).

Altro punto a sfavore della nuova versione di Poltergeist è la scelta di accumulare in un colpo solo quella che in origine era una graduale crescente successione dei fatti ectoplasmatici, lenta, inesorabile ed esplosiva come la tensione che l’accompagnava e che permetteva di conferire al contempo uno spessore psicologico notevole ai personaggi, col risultato, efficacissimo, di creare empatia con lo spettatore.

E l’ironia, sottile e intelligente dell’opera di base (la scena finale con il televisore -moderno mostro sacro che domina incontrastato ogni abitazione del pianeta terra- sbattuto fuori dall’alloggio di fortuna) qui è ridotta ad un misero siparietto pseudo comico posto successivamente alla dissolvenza finale.

E veramente a poco serve intitolare il liceo della zona “Hooper”, in onore al regista, e omaggiare gli effetti artigianali di una volta deliziandoci col frame di uno scheletro volutamente posticcio che emerge dal putrido fango del vecchio cimitero profanato.

Ma una cosa va detta, i 3 ragazzini si somigliano abbastanza da pensare che siano fratelli, e la bambina Maddie è la copia sputata della piccola biondissima Carol Anne (Heather O’Rourke) dell’originale.

Vedere per credere.

 

Kennedi Clements

Poltergeist (2015): Kennedi Clements

 

 

 

 

 

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