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Francofonia

Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film

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La recensione su Francofonia

di FilmTv Rivista
8 stelle

L’Occidente e i suoi volti, indispensabili appigli cui aggrapparsi per preservare un sistema culturale compromesso. L’Occidente e i suoi musei, che di quei volti sono custodi e, di conseguenza, anche della memoria grafica come concrezione identitaria. Utilizzando Jacques Jaujard (conservatore del Louvre durante l’occupazione tedesca) e Franz Wolff-Metternich (incaricato dal regime nazista della valutazione ed esportazione delle opere) come icone diversissime di una collaborazione sovra-politica e sovra-ideologica compiuta in nome della cultura occidentale, Sokurov preleva la storia e la riattualizza in un ensemble linguistico complesso, stratificato e multicodice. Lontano dalle Elegie e dal simbolismo barocco di Faust, dal decadentismo grottesco della trilogia sul potere e dal virtuosismo contemplativo di Arca russa, l’autore realizza forse il suo film più pragmatico, nel quale ogni elemento di scena (sonoro compreso) è un mattone metodicamente collocato sul granitico muro di una certezza: in un momento storico in cui sedicenti stati abbattono i loro musei e di fronte a un sistema cultural-religioso che ripudia la pratica rappresentativa dei volti, l’Occidente è chiamato all’autoconservazione. Il corredo finzionale di Francofonia li cerca in continuazione, quei volti d’Occidente, che dalla pittura si rinnovano nel primo piano cinematografico mediante una macchina da presa che si fa pennello, capace di ritrarre ora figure simbolicamente marziali (Jaujard, Metternich), ora surreali e grottesche (la Marianna “che guida il popolo”, Bonaparte che gira a vuoto). Li incornicia configurando un contenitore documentario (in sé, il gesto cine-museale puro, incontaminato) e li abbandona soltanto per compiere affondi provocatori ai danni della sua mutata madre Russia. In essi, documenti (Leningrado in macerie, il crollo dell’Hermitage in tempo di guerra) e finto documentario (in collegamento Skype) concorrono a denunciare lo stato attuale - e le radici di tale attualità - dell’identità nazionale, abbandonata su una nave cargo (contemporanea arca di Noé culturale) in piena deriva di fronte all’orizzonte in tempesta degli eventi. Pessimista e antimoderno, il museo audiovisivo di Sokurov è un gesto estremo tanto nella coerenza linguistica - a tratti priva di baricentro - quanto nella sfiduciata disperazione che comunica a un mondo ripiegato sul presente e incapace di farsi carico del peso della (propria) storia. E alla fine, l’inno russo risuona, storpiato, come una marcia funebre.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 50 del 2015

Autore: Claudio Bartolini

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