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Tre fratelli

Regia di Francesco Rosi vedi scheda film

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La recensione su Tre fratelli

di Baliverna
7 stelle

Tre fratelli emigrati ritornano al paesino natale delle Puglie per il funerale della madre. E' il momento per dolorosi bilanci personali e politici di un'epoca.

E' un film introspettivo e malinconico, collocato a metà tra la sfera privata e interiore, e quella pubblica e politica.
Quanto alla prima, il regista riflette sulla memoria, sulla famiglia, sulle radici divelte per andare a cercare lavoro lontano, e sull'inevitabile scorrere del tempo. Quanto alla dimensione pubblica, il regista conduce una riflessione - a mio modo di vedere equilibrata e non ideologica - sui sommovimenti sociali e sconquassarono la società italiana degli anni '70 e primi '80. Si parla cioè di lotte sindacali e di scioperi, e soprattutto del terrorismo. Considerando che Rosi è un regista di sinistra, la sua riflessione è ancora più apprezzabile. Da una parte il film sembra gettare un'ombra su certo attivismo sindacale sfrenato, che eccede negli scioperi e che strizza l'occhio ai terroristi rossi. Quanto a questi, però, la condanna del film è netta: sono degli scalmanati assassini che pretendono di cambiare la società in meglio spargendo sangue per le strade. La sequenza dell'attentato sull'autobus, a questo proposito, parla chiaro: alcuni figuri armati eseguono una "azione di giustizia popolare", cioè seminano panico e morte, e la ragazza forse mette ancora più paura degli uomini (le brigatiste donne, tra l'altro, non furono poche).
Il più assennato dei tre fratelli sembra essere il giudice, quello interpretato da Philippe Noiret, il quale conduce la riflessione morale portata avanti dal film. Michele Placido, invece, interpreta il sindacalista "testa calda", che guarda con molta comprensione i terroristi: è un uomo agitato e impulsivo, che forse sfoga nella politica le frustrazioni e i rimorsi della sua vita privata (una separazione in corso e una figlia sbattuata tra mamma e papà). Sia Noiret che Placido hanno dato secondo me delle buone prove attoriali. Non così posso dire di Vittorio Mezzogiorno, che sembra poco convinto di quello che fa. Il suo personaggio ne soffre e ne rimane sbiadito, forse perché trascurato anche dalla sceneggiatura.
Purtroppo devo anche rilevare la brutta sequenza del sogno degli spazzini: è banalmente metaforica, petulante, di cattivo gusto, mentre la musica stucchevole contribuisce a creare una vera caduta di tono. Proprio peccato, perché il sogno del vecchio all'inizio è ottimo, il che dimostra che Rosi avrebbe potuto ripetere l'operazione anch qui.
Fatta eccezione per questa sequenza e qualche stiracchiatura di troppo, lo definirei un film fiuscito, a tratti lirico, che ritrae lo spaesamento di un'epoca e di una società che, a forza di teorizzare cambiamenti e palingenesi, si ritrovarono all'improvviso violente e degenerate. Commovente il finale.

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