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Dove eravamo rimasti

Regia di Jonathan Demme vedi scheda film

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La recensione su Dove eravamo rimasti

di alan smithee
7 stelle

FESTIVAL DI LOCARNO 2015 - FILM D'APERTURA

Che Meryl Streep fosse anche un’ottima cantante, oltre che la regina delle attrici, l’interprete-camaleonte che entra nel personaggio impossessandosene vampirescamente sino ad arricchirlo e potenziarlo, era cosa nota almeno già dai tempi del divertente “musicarello Abba” che è stato Mamma Mia, come pure nell’ultimo film del grande Robert Altman, quel Radio America in cui la grande attrice è una cantante country che divide il microfono con un’esperta in materia come Lily Tomlin alla vigilia della chiusura di una nota radio specializzata in musica popolare.

Ora, per la regia del volitivo ed eterogeneo gran cineasta Jonathan Demme, qui forte di una sceneggiatura bizzarra, ma attraente a cura della maliziosa Diablo Cody, in ”Ricki and the flash” (ma, per una volta, il titolo italiano “Dove eravamo rimasti” appare come una variante accettabile e coerente con la suituazione), film d’apertura al Festival di Locarno 2015, la grande attrice domina e diviene il perché, l’elemento necessario e la quintessenza di una commedia divertente, briosa ma anche amara che si concentra ancora una volta, e una volta ancora con la Streep protagonista, su una figura di donna controversa e contrastata, di un talento perso per strada o non valorizzato appieno, fagocitato da una esistenza che è sfuggita di mano, sacrificando, peraltro scientemente, famiglia, affetti, successo (solo effimero, un bagliore assopitosi troppo presto) per ricondursi a sopravvivere facendo la cassiera di giorno, e la cantante di un locale per ubriaconi nostalgici dal cuore d’oro.

Ma il film non è affatto un musical: i numeri musicali ci sono, eccome, e la voce della Streep, qui rocker sessantenne e part time dalla vita affettiva un pò allo sbando, si giostra col microfono e chitarra elettrica con una verve da interprete e concertista dall’esperienza ormai consolidata: ma questi sono solo efficaci sipari esplicativi e funzionali al racconto, che è quello, ben più intimo e scanzonato, di un ritorno forzato in famiglia, quella agiata e perfetta che la Ricki Randazzo, al tempo Linda Brummel, ha scientemente abbandonato per poter respirare l’aria coerente con il proprio talento, peraltro mai esploso.

Un ritorno nella vita intima dell’agiato ex marito, con la sua sposa di colore perfetta e chioccia come si conviene ad una madre americana, custode e baluardo di un cordolo di tre figli ormai adulti, ognuno con qualche problema o cruccio più o meno grave da risolvere: dall’instabilità caratteriale della figlia (ancora una volta la vera figlia Mamie Gummer, qui più brava e convincente del solito), all’imbarazzante accettazione da parte di lei, una Ricky fieramente e grevemente repubblicana, dunque sotto sotto anche un po’ razzista o prevenuta, di un figlio dichiaratamente gay.

Obbligata a partecipare al matrimonio dell’altro figlio, Ricky, indebitata e senza un soldo, si adopererà per regalare alla nuova coppia un concerto memorabile, che riuscirà, non senza preventivi imbarazzi e atteggiamenti prevenuti, a conquistare l’intera platea.

Nulla di nuovo o straordinario, ma Demme è un gran regista e come tale sa giostrarsi alla perfezione anche per raccontare una lieve e frizzante storia amarognola di sentimenti familiari alla deriva e, memore del suo più impegnato e serio “Rachel sta per sposarsi”, dirige una commedia nostalgica che parla di famiglia, ma anche si sogni infranti e di vite allo sbando, accomodate verso la grigia quotidianità da parte di un temperamento irrequieto che, pur conscio dei propri fallimenti e delle proprie decisioni avventate, riesce comunque a trovare la forza per ironizzare su ciò che è stato e su ciò che contraddistingue un presente che è solo un ripiego che nasconde un fallimento: non tanto quello economico, ma quello esistenziale.

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