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Demolition - Amare e vivere

Regia di Jean-Marc Vallée vedi scheda film

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La recensione su Demolition - Amare e vivere

di SredniVashtar
6 stelle

Un film in cui ognuno naviga da solo, un po' troppo.

Jake Gyllenhaal e Chris Cooper sono due attori che mi piacciono. Il primo è flessibile, capace di registri diversi nello stesso film (come richiesto qui), con un’espressione standard del viso quasi vuota in grado però di animarsi improvvisamente; il secondo è il prototipo, direi l’avatar dell’uomo anziano raffinato ma duro, in definitiva irrisolto perché prigioniero di un ruolo di facciata che ha schiacciato ogni spontaneità (esemplificativo il suo personaggio in American Beauty).

 

Quindi Demolition, in cui sono entrambi protagonisti (con la sempre valida Naomi Watts, anch’ella capace di molti registri, dalla bella&scema di King Kong alla rampante di The Ring alla straordinaria vedova di 21 Grammi: non a caso è la compagna di un attore per me stracult, Liv Schreiber, ma vedo che sto partendo per la tangente) – dicevo di Gyll e Cooper: metterli insieme in Demolition mi faceva sperare più che bene, ma sono rimasto in parte deluso e vi spiego perché.

I tre citati sono perfetti nelle rispettive parti, ma quel che manca è lo spessore emotivo, quasi il regista avesse assunto il punto di vista del solo Davis/Jake, che in sostanza è un anaffettivo (“perché mi sono sposato? perché era facile”). Nel film accadono cose, anche forti o decisive, che però passano attraverso il filtro percettivo del protagonista, che le “riduce” anche agli occhi dello spettatore. In proposito sarebbe stato invece più interessante paragonare i diversi modi di vivere gli eventi, anziché sottometterli solo alla contorta benché coerente prospettiva di Davis. Così non si capisce né l’eccessiva tolleranza di Phil/Cooper e della moglie, né la logica che sottende le scelte di Karen/Watts.

Davis attraversa i pestaggi suo e del giovane Chris con la medesima scanzonata e dolente rassegnazione, che non rappresenta necessariamente il modus di tutti, ma è l'unico rappresentato.

La scena finale, liberatoria e molto bella, è la sola corale, in cui il peso specifico di ogni personaggio si palesa indipendentemente dagli altri. Per il resto del film, la cronaca della ricerca/recupero della tardiva affettività di Davis schiaccia eccessivamente lo spessore dei co-protagonisti, ognuno dei quali comunque interpreta ottimamente – come ho già detto – quanto richiestogli. Con una metafora: sembra che fino alla fine ognuno suoni per conto suo, e tutti bene, e che solo ai titoli di coda formino un’orchestra. Ma troppo è andato perso della sinfonia, nel frattempo.

 

Riassumendo: se fai un film assumendo una sola prospettiva, perlopiù molto personale e non facilmente riconoscibile (Davis demolisce la propria casa: quanti di noi lo farebbero? e chi non avrebbe da obiettare?) e non lasci sufficiente spazio e spessore ai contraltari, ottieni un risultato tarato. Secondo me, troppo.

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