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Il ponte delle spie

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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La recensione su Il ponte delle spie

di alan smithee
7 stelle

25 COURMAYEUR NOIR FESTIVAL – FILM DI CHIUSURA - OSCAR 2016 A MARK RYLANCE COME MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA 

Stati Uniti anni '60. La Guerra Fredda tra le due potenze nucleari raggiunge livelli di tensione molto accesi, palpabili anche tra i cittadini comuni, ed il timore del popolo americano cresce a dismisura, fino a farlo razionalmente preoccupare ad imparare a difendersi contro un ormai probabile, se non imminente, attacco nucleare da parte del nemico. Intanto la Cia segue da tempo un uomo, apparentemente insospettabile, che tuttavia nasconde all'interno della sua esistenza ordinaria di pensionato con la passione per la pittura, loschi intrecci con qualche organizzazione clandestina.

Dopo un inseguimento concitato in cui l'uomo sembra dileguarsi, i servizi segreti riescono tuttavia a catturare l'uomo, che viene immediatamente sottoposto a giudizio. A difenderlo, per quanto già unanimemente bollato come colpevole e soporattutto traditore da parte della comunità, l'ingrato ma necessario incarico viene affidato ad un brillante avvocato di nome Donovan, in qualche modo incastrato ed indotto suo malgrado ad occuparsi di quel caso.

Immediatamente sia la sua famiglia (moglie e figli), sia l'ambiente che lo circonda, comincia a guardare in malo modo o comunque con un certo disappunto l'atteggiamento dell'uomo, colpevole di ostinarsi a difendere un traditore e dunque una vera e propria minaccia per la sicurezza e l'orgoglio della nazione.

In realtà il caso nasconderà ancora una volta come il pregiudizio e la paura incondizionata finiscano per influenzare negativamente la possibilità, anche per gli organi ufficiali della giustizia, di giudicare serenamente un imputato basandosi sulla concretezza dei fatti e delle prove, e non su meccanismi astratti legati al sospetto e a sentimenti fuorvianti come il panico ed il timore.

Ne scaturisce un film solido, sostenuto da una sceneggiatura di ferro ad opera dei fratelli Joel e Ethan Coen, che puntano su una stesura tradizionale, con guizzi che il regista ci regala nelle poche ma splendide scene d'azione (quella in volo stupenda) e nelle minuziose ricostruzioni di una Berlino in corso di separazione ad opera del muro della morte. Un filmone che diviene specchio realistico dei timori e dell'orgoglio di un popolo spesso sin troppo cieco e superficialmente sentenzioso, di una società americana fiera ma anche impaurita che, se non addirittura terrorizzata per una catastrofe a quei tempi ormai considerata imminente ed inevitabile, finiva comunque per abbandonarsi al giustizialismo sommario senza affidarsi alla presunzione di innocenza che salvaguardia le più moderne democrazie; un film girato dal gran regista con la consueta perizia ed abilità, aperto da una scena di inseguimento che è una vera e propria lezione di regia, dove l'abilità di inquadratura e il sapiente di dosaggio della suspence costituiscono la differenza tra questo prodotto di classe ed uno di semplice, magari anche lodevole, routine.

Tom Hanks, avvocato assicurativo coinvolto suo malgrado in un incarico a lui estraneo, ma brillante nelle sue intuizioni e nel suo spirito liberistico quasi premonitivo, appare fisicamente in piena forma, ma il vero asso nella manica del film, almeno per quanto riguarda gli interpreti, è Mark Rylance: il suo personaggio mite e silenzioso, sereno anche quando sa di andare incontro ad una condanna dura se non letale, ci restituisce una figura quasi eroica di una nuova moderna forma di santità (o qualcosa di simile) o di obbedienza vigorosa ma ragionata e senza eccessi o follie da martirio, che coinvolge tutti coloro che non hanno mire di gloria, ma agiscono, immolandosi, con lucidità e consapevolezza di voler fare del bene, anche a rischio di venir considerati letali come demoni. Per l'attore una candidatura all'Oscar nella categoria del miglior attore non protagonista sarebbe auspicabile, se non obbligatoria.

E Spielberg firma un'altra opera che inneggia ai valori della democrazia americana improntata sull'impegno individuale e la tenacia personale: il film rischia di sbandare nella retorica più  sdolcinata salvo riuscire, come di consueto col gran cineasta, a dribblare tali trabocchetti con eleganza e una messa in scena lucida ed, almeno a tratti, appassionante.

 

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