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Marguerite

Regia di Xavier Giannoli vedi scheda film

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La recensione su Marguerite

di EightAndHalf
5 stelle

"Mi lanceranno sicuramente dei pomodori".

"Come a tutti i più grandi, mia cara".

"Qualche volta dovremmo lanciare delle opere d'arte sui pomodori, tanto per cambiare".

 

 

Marguerite è il dramma comico del capovolgimento umoristico. Nel film di Xavier Giannoli è tutto al contrario: il giudizio, l'apprezzamento, la dote artistica, tutto funziona nel più assurdo dei sensi, nella più grottesca delle soluzioni. Il dramma comico della ricca Marguerite Dumont che pensa di essere un soprano colorito ma che in realtà è stonata come una campana viene inserito da Giannoli in un tessuto filmico relativamente ordinario che fa capo a una mise in scène che non osa più di tanto e a una ricostruzione storica ferma al necessario e al funzionale alla trama (comprese le esplosioni anarchiche del locale dove Marguerite si ritrova a cantare l'inno francese). Nonostante Catherine Frot sia praticamente indimenticabile nel ruolo del "gatto strangolato", il suo è un personagio che viene presentato ordinariamente come insoddisfatto, deluso dalle quattro ricche mura della sua magione dove spesso si riuniscono gli amici del suo circolo a fingere di apprezzarla per ricevere le di lei ricche donazioni. Quando due giovani pensano di poterla sfruttare a loro gradimento, riscontrando in lei una tenerezza fuori dal comune dovuta all'incontro scoppiettante di infelicità interiore e ostentata vivacità, il film sembra portare avanti, nella prima metà soprattutto, una barzelletta lunga tutta incentrata su un'idea, e tirata avanti con verve relativa e conclusioni comiche prima assai efficaci e poi scemanti verso il rischio della ridondanza. D'altronde è immediato il pensiero: il film è troppo lungo.

 

"Che bellezza. Che delicatezza. Che eleganza" (Marguerite al tenore dei Pagliacci di Leoncavallo)

"Vaffanculo, puttana ..(..e altre osenità varie)" (il tenore dei Pagliacci ad una giovane donna appena viene abbassato il sipario).

 

 

Tale è la lunghezza del film che da un po' pedante barzelletta finisce per trasformarsi in melodramma un po' melenso un po' patinato. Alcuni personaggi hanno luce, dal marito che a poco a poco si ri-innamora della donna al maggiordomo che fa uno Stroheim wilderiano da Sunset Boulevard convinto di dover incoraggiare il desiderio di arte della donna fino alle estreme conseguenze, ma quest'estensione degli orizzonti caratteriali non salva Marguerite da una caduta libera conclusiva che fa avvolgere un finale sopra l'altro e cerca la commozione a tutti i costi, passando per gli usurati sentieri del pietismo da malattia e da tragedia. Niente può la "corretta" regia di Giannoli, né le straordinarie interpretazioni. Solo un elemento importante si salva.

 

 

E si tratta del discorso teorico sull'umorismo, su citato e di nodale importanza. Non appena il dramma umano della protagonista si appesantisce e sfocia nelle conclusioni più convenzionali, trova rari sprazzi di luce questo racconto dell'ironia e del capovolgimento che poteva essere il film rimanendo nei toni della prima metà (con cui sicuramente avrebbe raggiunto la sufficienza). Quando finalmente Marguerite si esibisce di fronte a un pubblico vero, e quello comincia a ridere, è a quel punto che smettiamo di ridere noi, e ci troviamo rispecchiati in noi stessi spettatori che un'ora prima ridevamo delle povere disgrazie della protagonista. Se non avesse forzato le cose, Giannoli avrebbe potuto ricreare l'affascinante tema dell'ironia pirandelliana, per cui la donna eccessivamente truccata che vediamo passeggiare prima ci desta il riso, e poi ci ricorda il dispiacere di un'insoddisfatta esistenza umana. Probabilmente era anche questo il tentativo di Giannoli, un tentativo dal fascino dimezzato da una regia anonima e dalla già citata piega eccessivamente melodrammatica che il film assume, come se i terribili drammi dell'interiorità abbiano sempre bisogno di un corrispettivo spettacolare. Insomma, ciò che è veramente drammatico è che si tratta di un'occasione perduta.

 

"Bisogna sapersi buttare, qualche volta. L'importante è che non sia da troppo alto." Questo lo dice Marguerite, ma è un po' quello che ha fatto Giannoli.

 

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