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Il caso Spotlight

Regia di Thomas McCarthy vedi scheda film

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La recensione su Il caso Spotlight

di supadany
7 stelle

Vincitore nel 2016 del premio Oscar quale miglior film, Spotlight possiede dei meriti oggettivi che valgono oggi più di ieri e appartengono a un discorso più generalizzato dello scomodo tema affrontato di cui, nel frattempo, si è discusso tanto, creando la giusta indignazione.

Thomas McCarthy (L'ospite inatteso) dirige con rigore e, forse proprio per volontà di aderenza alle metodologie di lavoro del giornalismo d’inchiesta che richiede tempi lunghi, il film fatica a rimanere acceso.

Stati Uniti, 2001. Appena giunto al Boston Globe nel ruolo di direttore, Marty Baron (Liev Schreiber) assegna al team Spotlight - guidato dal caporedattore William Robinson (Michael Keaton) - il compito di indagare su un caso lasciato nel dimenticatoio, riguardante gli abusi di un prete ai danni di un bambino.

Quando l’indagine prende corpo, viene a galla che nella sola città di Boston i casi analoghi sono oltre ottanta.

I giornalisti devono scontrarsi contro le reticenze istituzionali, un passato insabbiato e la necessità di fare un lavoro puntiglioso arrivando comunque in tempi stretti al completamento della loro ricerca, consapevoli delle problematiche correlate a un’inchiesta del genere, come illustri richieste di desistere.

 

Michael Keaton, Liev Schreiber, Mark Ruffalo, Rachel McAdams, John Slattery, Brian d'Arcy James

Il caso Spotlight (2015): Michael Keaton, Liev Schreiber, Mark Ruffalo, Rachel McAdams, John Slattery, Brian d'Arcy James

 

Per fare un buon lavoro, ci vuole il suo tempo che, nel caso del giornalismo d’inchiesta, può essere parecchio, in virtù di lunghe e meticolose ricerche che non possiedono molto di elettrizzante.

Rivissuto nel tempo, il tema affrontato ha la sua portata - anche se ormai ne abbiamo sentite di tutti i colori a riguardo - e Thomas McCarthy non aggiunge condimenti, un po’ come fece Marty Baron che, prima di pubblicare il materiale, eliminò ogni aggettivo non strettamente necessario per non dare appigli gratuiti a ogni eventuale forma di polemica.

In questo modo, il doppio cuore pulsante è sempre in primo piano: l’inchiesta nella sua essenzialità, con l’interesse contrario che vuole silenziare fatti scomodi, una cortina di fumo e convenienze (a)vari(at)e, come non urtare il lettore medio (cattolico), e prima di tutto l’importanza di avere un giornalismo libero, fondamentale per la democrazia e che oggi, tra esigenze di avere tutto e subito e la concorrenza di internet (che rispetta quanto appena enunciato), è sempre più a repentaglio.

In entrambi gli aspetti, la rappresentazione è disadorna, asciutta, professionale e metodica, nel rispetto della divulgazione, ma i capodopera del cinema d’inchiesta, per quanto per lo più legati a un’altra epoca (e quindi un altro cinema), rimangono distanti.

In più, anche l’argomento arriva tardi - l’impatto di un film del genere sarebbe stato tremendamente diverso una decina di anni fa - per quanto rimanga un argomento non trascurabile, anche nel nome della fede che, giacché eterna e spirituale, ha una valenza superiore rispetto agli errori dei singoli uomini, comunque niente più che pedine transitorie, anche quando occupano le massime posizioni di responsabilità.

Passando al materiale umano, anche il ricco cast onora i canoni figurativi. Tutti gli interpreti sono attenti a rispettare le consegne, con impegno e senza cercare la vetrina; tra loro, Michael Keaton e Mark Ruffalo hanno più visibilità, al pari di Rachel McAdams che già in passato – State of play – aveva ricoperto un ruolo analogo.

Alla fine, Spotlight è un film più teorico che pratico, idoneo a trasmettere la pazienza, il tempo, la decisione e la coerenza di un team di lavoro sempre sul pezzo, concentrandone l’essenza di sei mesi d’attività in due ore nette, senza presentare sovrastrutture, ma senza nemmeno trovare acuti stilistici a contrassegnarne la cornice.

Concettualmente importante.

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