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American Sniper

Regia di Clint Eastwood vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su American Sniper

di ethan
4 stelle

Clint Eastwood continua con 'American Sniper' ad affrontare un tema - l'uomo americano e il suo rapporto con le armi - già al centro di gran parte dei suoi film non solo da autore, ma anche da interprete, vedasi la serie dei Callahan o addirittura la trilogia leoniana.

Ma, al contrario di gran parte della sua filmografia in qualità di regista, che apprezzo quasi in toto con poche eccezioni - 'Assassinio sull'Eiger', 'Firefox', 'Debito di sangue' - questa ultima 'fatica' eastwoodiana mi pare uscire con il fiato corto sia a livello di soluzioni visivo-stilistiche sia per i contenuti.

Sviscerandolo, tratta quindi delle conseguenze dell'uso di un'arma - ne 'Gli spietati' Clint-William Munny diceva al ragazzo: ''E' una cosa grossa uccidere un uomo'' - ma lo fa in maniera piuttosto banale e piatta, con ripetute e facili scene causa/effetto con protagonista il cecchino Chris Kyle (Bradley Cooper accettabile e nulla più) e i suoi bersagli, trofei da appuntare poi sulla divisa e da mettere sul curriculum. Inoltre, il film è un ricettacolo di ideali intrisi di interventismo USA in ogni parte del Mondo, dove 'Cavalieri senza macchia e senza paura' arrivano, sparano, uccidono (e vengono uccisi) e tornano a casa con il classico disagio del reduce - come si diceva fin dei tempi del Vietnam - perché loro sono i buoni e gli altri i cattivi o i selvaggi (come si sente spesso nei dialoghi del film), privo di una qualsivoglia analisi politica, nemmeno superficiale, con un nemico che si distingue dagli americani solo perché parla una lingua diversa e ha diversi lineamenti. 

I due schieramenti si scontrano in una città con le consuete dinamiche già viste in mille altri film ('Black Hawk Down' è forse quello che si avvicina di più per la sua struttura quasi da videogame, ma il film di Scott era molto più efficace e teso) e il duello si schematizza con la lotta tra 'The Legend' (il nickname di Kyle in USA e 'Il Diavolo' per gli iracheni) da una parte e Mustapha dall'altra.

In aggiunta a questa parte di film da guerra, girata con piglio svogliato e senza scene particolarmente memorabili, ne abbiamo un'altra, che racconta, prima in flashback - con una bella ellissi indietro nel tempo sullo sparo di Kyle che, lo coglie bambino a caccia con il padre - la sua gioventù,  e poi, inframmezzando le scene sul fronte iracheno, l'incontro - ma nei film americani tutti gli uomini conoscono e sposano una donna dopo averla approcciata al bancone di un bar? - con Taya (Sienna Miller, bella ma non certo memorabile il suo personaggio, la solita donna che a casa palpita per l'uomo al fronte), la donna che lo renderà padre due volte, il suo definitivo ritorno a casa dopo l'ultima missione e il suo difficoltoso reinserimento (anche tale tema è trattato con incertezza), che si concluderà purtroppo tragicamente: tale segmento più intimista è invece narrato facendo ricorso più di una volta ad un certo sentimentalismo e a una retorica di cui tutti i suoi lavori migliori ne erano privi.

Bella la polverosa fotografia del fidato Tom Stern, che riesce a dare l'idea delle insidie che si possono annidare in un territorio sconosciuto (il film è stato in gran parte girato in Marocco), costituito in gran parte da deserto e città (in apparenza) semi-disabitate e, finalmente, emozionante  e toccante proprio perché vera, la sequenza che chiude il film prima dei titoli di coda, fatta di immagini del funerale di Chris Kyle, in cui si vede dalla foto il volto suo e della moglie.

Voto: 5.

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