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The Walk

Regia di Robert Zemeckis vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su The Walk

di alan smithee
7 stelle

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2015 - SEZIONE UFFICIALE

Un filo sul mondo. Imprese scellerate del genere certificano ed ufficializzano che l'uomo può riuscire a fare tutto ciò che veramente vuole, e che il talento, unito ad un pizzico di follia ed incoscienza, sono gli ingredienti necessari per tagliare il traguardo. Il detto francese "les carottes sont cuites", una sorta di "il dado è  tratto" o "i giochi son fatti", segna appunto il limite del punto di non ritorno per il compimento di una vera e propria  missione  impossibile.

Dopo molto, troppo tempo dedicato al "motion capture" con un trittico per nulla convincente, ed un ritorno dignitoso al cinema spettacolare più tradizionale con il valido ma un pò ordinario Flight, ritroviamo lo Zemeckis gran cineasta, quello che più ci piace, in questo incredibile , vistuosistico e letteralmente vertiginoso racconto di una missione che ha dell'impossibile: quella di un piccolo giovane funambolo fracese che, nel lontano 1974, lasciò interdetta tutta New York ed il mondo intero con un'impresa che mette i brividi solo a concepirla: percorrere su una fune d'acciaio la distanza che separa le torri gemelle del World Tride Center, inaugurate pochi mesi prima, e tristemente note per il terribile attentato dell'11 settembre di ventisette anni dopo.

La capacità di racconto e di rappresentazione ritrovano lo Zemeckis spielberghiano dei bei tempi, e se la vicenda impiega quasi un'ora e mezza per arrivare all'impresa cruciale, l'emozione anche solo della preparazione del "colpo" (perché di colpo si tratta davvero!), è molto appassionante. L'impresa del funambolo poi, è una vera chicca, in grado di tenere lo spettatore in bilico lui stesso su quel filo, su quel cornicione, a penzoloni per oltre mezz'ora in una vertigine quasi insostenibile che Everest al confronto appare una barzelletta.

Grande Joseph Gordon-Levitt, un attore bravissimo già da oltre un decennio, ma che tendiamo, immeritatamente, a lasciarci per strada quando meriterebbe a pieno titolo la considerazione divistica di altri suoi colleghi, spesso scenicamente molto meno dotati.

Zemeckis introduce i vari capitoli della vicenda facendoli commentare dal racconto del nostro protagonista, che ci parla guardandoci in faccia appeso sulla fiaccola della Statua della libertà come uno scanzonato uomo ragno o  Re leone dalla cima della sua rocca: egli ci guarda con l'aria ironica di chi la sa lunga, di chi ha addomesticato la vertigine e la paura del vuoto. L'espressione divertita del volto muta in una inflessione più seria solo quando, raccontando di come gli fu assegnato dall'architetto responsabile del progetto dei grattacieli, dopo l'impresa e la condanna che ne seguì, l'onore di salire "a vita" sulla terrazza delle due torri gemelle, questo premio abbia finito, a posteriori, per stridere col nefasto destino a cui furono destinate le torri, riportandoci drammaticamente alla fine impensabile, devastante e intrisa di lutto a cui furono destinate poco più di un venticinquennio successivo, due tra le più imponenti e note costruzioni edilizie della storia, simbolo sacrificale dell'Occidente e obiettico primario di chi ne ha fatto il suo nemico più efferato.

Nulla di tutto ciò viene detto espressamente, ma il significato si desume, o traduce, dal mutamento di uno sguardo che il bravo Gondon-Lewitt assume nel guardare verso la telecamera, ennesima dimostrazione della validità della sua interpretazione. 

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