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Il terzo uomo

Regia di Carol Reed vedi scheda film

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21thcentury schizoid man

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il terzo uomo

di 21thcentury schizoid man
9 stelle

Prendete un ottimo scrittore, Graham Greene, e fategli scrivere una sceneggiatura. Poi radunate un cast di prima grandezza, che comprenda attori del calibro di Joseph Cotten, Alida Valli, Orson Welles e Trevor Howard. Dopodiché ingaggiate un grande direttore della fotografia, Robert Krasker, maestro del chiaroscuro che illumina le scene da par suo, e un talentuoso suonatore di cetra, Anton Karas, in grado di comporre una colonna sonora destinata ad entrare nell’immaginario collettivo. Infine affidate tutto questo ben di Dio a un regista capace e preparato, Carol Reed, che sa dove e come posizionare la macchina da presa e che conosce tutti i trucchi del mestiere. Se mettete insieme tutta questa bella gente, potete stare certi che otterrete qualcosa di grandioso.

Nel 1949 le persone sopra citate lavorarono veramente tutte allo stesso film, e il risultato che ne scaturì fu “Il terzo uomo”, uno dei film più leggendari, citati e imitati di sempre, nonché uno dei rari casi in cui nel mondo del cinema la somma dei talenti coinvolti nella realizzazione di un film ha dato l’esito sperato. Nel cinema, infatti, non sempre uno più uno fa due, ma nel caso de “Il terzo uomo” sì, perché qui sia davanti che dietro la cinepresa c’era gente che sapeva fare il suo lavoro egregiamente e che si è impegnata a fondo per ottenere il massimo risultato possibile. C’è Joseph Cotten che interpreta uno squattrinato scrittore americano di modesti romanzi western che si improvvisa detective, Holly Martins; c’è Alida Valli (la quale nei titoli di testa viene citata solo con il cognome) che recita nei panni di un’affascinante e malinconica attrice teatrale cecoslovacca, Anna Schmidt; c’è Trevor Howard che ricopre il ruolo di un ostinato poliziotto inglese che dà la caccia ai criminali, il maggiore Calloway; e soprattutto c’è Orson Welles che presta il volto a un personaggio amorale e ambiguo giustamente entrato nel mito, Harry Lime, un cinico e spietato trafficante di penicillina che rappresenta il male in persona, che entra in scena solo a metà film ma che, nonostante compaia poco, finisce per diventare il protagonista assoluto e incontrastato della vicenda.

Anche quando non si vede, Harry è come se fosse sempre presente, dal momento che tutti parlano di lui: da Holly, il suo vecchio amico che giunge a Vienna dall’America per incontrarlo, ad Anna, la sua amante che dopo la sua morte si ritrova sola e con il cuore spezzato, passando per Calloway, che vorrebbe fargli pagare tutto il male che ha fatto e tutto il dolore che ha causato con il suo traffico illegale di penicillina sbattendolo in prigione e gettando via la chiave per sempre. Tutti parlano di Harry, dall’inizio alla fine del film. E’ lui il fulcro attorno al quale ruota tutta quanta la storia. Che sia vivo oppure morto, non importa: Harry è il centro di tutto. Lui, però, non si fa vedere, almeno nella prima parte. Si fa attendere come Godot, ma a differenza di quest’ultimo, che non arrivava mai, Harry, a un certo punto, arriva eccome. La sua entrata in scena è da antologia: dopo aver fatto credere agli altri di essere passato a miglior vita, più o meno a metà film lo vediamo comparire di notte nel buio dell’androne di un palazzo completamente vestito di nero, lui che sembrava fosse stato investito e ucciso da un’automobile e che era stato tumulato davanti agli occhi dei suoi amici, mentre un gatto gli fa le fusa e lui sorride sardonico.

Un’apparizione folgorante, la sua, di quelle che lasciano il segno e che non si dimenticano più. Poi, però, dopo essere sbucato dal nulla come un fantasma, Harry sparisce di nuovo. Si nasconde nelle fogne come un topo, e in quel posto lurido e maleodorante, al termine di un lungo e spettacolare inseguimento, si compirà il suo amaro e tragico destino. Insomma, dei quattro protagonisti, Harry Lime è quello che si vede di meno, ma è anche quello di cui si parla di più e che funge da filo conduttore tra i vari personaggi che popolano il film. Senza di lui, “Il terzo uomo” perderebbe molto del suo fascino. E’ banale e scontato dirlo, ma è la pura e semplice verità. Aveva ragione Alfred Hitchcock quando diceva che “più riuscito è il cattivo, più riuscito sarà il film”. Harry Lime è un cattivo coi fiocchi: malvagio, crudele e insensibile, la sua ombra minacciosa si allunga sinistra su tutta la pellicola.

In una delle tante scene memorabili, mentre discute con Holly, Harry, con il suo tipico atteggiamento sprezzante, giustifica le sue azioni criminose con un monologo indimenticabile: “In Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto guerra, terrore, omicidio, strage ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, con cinquecento anni di amore fraterno, democrazia e pace cos’hanno prodotto? L’orologio a cucù”. Welles è superlativo, e con la sua imponente e inquietante presenza domina il film in lungo e in largo, ma anche Cotten, Howard e la Valli sono eccellenti. Impeccabile la regia (magistrale l’uso del grandangolo), sontuosa la fotografia (per la quale Krasker vinse l’Oscar) e stupenda la colonna sonora (e pensare che Karas era alla sua prima esperienza come compositore di musica per film). E per ultimo, ma non per questo meno importante, il fascino decadente di Vienna, una città messa in ginocchio dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e divisa in quattro zone presidiate dai russi, dagli americani, dagli inglesi e dai francesi, che si rivela una location perfetta per ambientarvi una storia che parla di intrighi, delitti, traffici di medicinali e morti che ritornano. “Il terzo uomo” (premiato con la Palma d’oro al Festival di Cannes) è un classico intramontabile e imperdibile.

 

http://starless1979.wordpress.com./

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