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Goodnight Mommy

Regia di Severin Fiala, Veronika Franz vedi scheda film

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La recensione su Goodnight Mommy

di OGM
7 stelle

Chi ha detto che la realtà più vera e terribile sia quella vista da dentro. Quella vista da fuori può essere ancor più crudele. Perché può presentarsi come un muro impenetrabile, un cancello chiuso a chiave che impedisce di guardare oltre, di capire, di superare la paura indotta da un'apparenza straniante, che inquieta e spiazza chiunque la guardi.

La vita non è solo quello che si vede. Quello che si sente, dentro di sé, ha un potere più forte di ogni immagine. Le emozioni, i ricordi, i rimorsi ed i rimpianti sono sogni ed incubi che si materializzano, dando forma al nostro modo di esistere. La fantasia è un riflesso dell’esperienza, che, quando questa è inafferrabile, la porta a compimento, la trasforma in una storia che può continuare a svilupparsi, che si può insistere a raccontare, giorno dopo giorno, inseguendo la promessa di una fine. La mente di un bambino è già abbastanza grande per poterla contenere tutta, con le sue proiezioni più ardite, con quei salti acrobatici che rovesciano il senso dell’apparenza. Una madre non è più lei. Sembra un’altra, e dunque lo è. È un’estranea da temere, da esplorare, e quindi da odiare, restando sempre fedeli allo spirito del gioco, che è una sfida a chi la spara più grossa, a chi sarà l’ultimo a scappare di fronte al pericolo. Lukas ed Elias si specchiano uno nell’altro, mentre, a loro modo, si sforzano di crescere oltre i limiti della loro età, delle proibizioni materne, delle cose che non sanno e che non sono in grado di capire. Due gemelli identici, che non si separano mai, e che si incoraggiano a vicenda, facendo in modo che l’eccesso non si fermi mai, che l’assurdo sia, ogni volta, solo la prossima tappa da raggiungere. Basta fissare un volto livido e tumefatto, fasciato dalle bende, per trovare la motivazione giusta. È così che l’abbandono, per reazione, si converte in uno spunto per inoltrarsi nella giungla dell’alienazione. All’infanzia non mancano le risorse, basta attingere a quelle che provengono dalle favole horror, popolate di orchi, di animali mostruosi, di creature infinitamente crudeli. È anche questo un modo per scoprire una realtà che si mostra sfuggente, persino nell’ambiente che dovrebbe risultare più familiare e rassicurante, come quello domestico. Se il nemico è lì dentro, è proprio la casa a diventare il teatro delle invenzioni più macabre, che riempiono il vuoto della paura con lo spettacolo di una morte urlante, che non si arrende, che protesta contro il silenzio imposto dalla passiva accettazione dell’inconcepibile. A Lukas ed Elias è successo qualcosa,  e nulla potrà più essere come prima. Bisogna dunque domare la belva del mistero, che ha improvvisamente stravolto i tratti di un viso amato, che  ha cambiato la faccia stessa dell’esistenza. L’inquietudine è la fonte del vizio, della morbosità che evolve in sfrenatezza, che abbatte tutte le barriere della morale, della sensibilità, del ritegno. Là in fondo, nel punto di fuga di quella prospettiva malata, il quadro si distorce, per effetto della rifrazione prodotta da una corazza di materiale translucido, costruita con la forza informe della perversione. L’evidenza si fa ferocia dello sguardo.  La banalità è il risvolto impietoso della verità, che la esibisce nuda, follemente dedita all’impalpabilità del nulla. Il crollo delle certezze dà l’esempio, insegnando alle anime innocenti il principio della (auto)distruzione: quello che si trastulla con scarafaggi e teschi, che brandisce come un’arma il cadavere di un gatto, che scherza col fuoco fino alle estreme conseguenze. L’escalation è solo il tranquillo percorso di chi si mette in cerca di una risposta precisa, e non intende arrendersi alla propria impotenza. La violenza come deduzione logica: la ragione di un bambino non ammette limiti, e prosegue dritta per la sua strada, incurante dell’ostinazione con cui il mondo le ripete le sue menzogne, i suoi paradossi, le sue litanie prive di sostanza. Laddove i grandi implorano, i piccoli agiscono. Le parole sono echi deboli, il cui impatto si esaurisce in uno spostamento d’aria. I corpi non ne sono scalfiti, per questo occorre combatterli in altra maniera. La guerra è inevitabile, quando la carne non risponde più ai comandi del cuore. È uno strazio che inizia in sordina, e ad un certo punto divampa, come un incendio appiccato per disperazione, per fare piazza pulita di tutte le questioni irrisolte. È giusto non sapere il perché. L’incomprensione, quando è lasciata libera di scorrazzare per il mondo, arriva a farsi incredibilmente cruenta e beffarda.  Questo è quello che accade, in questa storia che si chiude lacerando il sipario, prima che siano pronunciate le ultime frasi. È la rappresentazione del senza capo né coda che riassume la nostra condizione di individui disarmati, incapaci di conciliare il prima e il dopo, di scendere a patti col tempo, anche quando è poco più di un istante, e il passato è ridotto ad un lampo che si è spento troppo in fretta.

 

Questo film è stato selezionato per rappresentare l’Austria agli Academy Awards 2016.  

 

Susanne Wuest

Goodnight Mommy (2014): Susanne Wuest

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