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In the Basement

Regia di Ulrich Seidl vedi scheda film

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La recensione su In the Basement

di EightAndHalf
7 stelle

Si soffoca.

Un film sugli scantinati. Per qualsiasi altro regista sarebbe stata una sfida contro i propri stilemi e le proprie abitudini, ma non per Ulrich Seidl, attento e sadico osservatore di ciò che di più intimo e vero (nonché bestiale) esiste dentro l’uomo, dietro la facciata e dietro l’umanità.

Im Keller è un documentario (anche se si stenta a crederlo) sull’utilizzo che la maggior parte degli austriaci (immancabilmente pingui o generalmente brutti) fanno del loro scantinato, in pratica quella lucetta accesa che sta in basso nelle abitazioni, sotto le finestre a luce spenta dei normali salotti, non più living room ma semplici stanze di rappresentanza. Come dentro un diario segreto (che segreto non è tanto, vista la grande concessione fatta a Seidl di entrare e “vedere”, oltre che a “farci vedere”), gli austriaci come in generale gli esseri umani nascondono dentro gli scantinati i loro piaceri più oscuri, i loro divertimenti più perversi, le loro bizzarrie meno accettate, spesso passando ancora più tempo lì che altrove. Seidl dunque scende letteralmente nei bassifondi dell’umanità e sfida il voyeurismo mettendo in scena più di quanto ci si potesse aspettare, spesso in maniera tanto esplicita da sfiorare l’indecenza. La verità è che Seidl però è un vero autore, e quindi ricopre tutto il suo film di una scorza di sadico umorismo capace di far ridere di un uomo appeso al tetto per lo scroto o di un nazista ubriaco e amante degli strumenti a fiato.

La poca credibilità della natura documentaristica di Im Keller nasce dal grande spazio che proprio a Seidl viene concesso dai vari personaggi. Entra nelle case e negli scantinati rendendo il suo (e il nostro) sguardo direttamente partecipe di ciò che osserviamo, attraverso l’utilizzo sfrontato, spesso esilarante ma tipicamente seidliano, di immagini completamente ferme, in cui il movimento è ridotto a una o due sequenze, e in cui si vengono a creare metallici e asettici tableaux vivants simmetrici, a tratti quasi kubrickiani (vedasi lo scantinato con il cibo: chi non penserebbe alla breve prigionia di Jack Torrance, specie con le marche degli scatoli così in bella vista?), arricchiti da esseri umani che guardano sfrontatamente allo spettatore, immagini geometriche certo, ma solo se prese da soli, e non nel complesso di un’opera volutamente frammentaria, irregolare, dotata di una variatio stilistica/documentaristica che prescinde il singolo metodo registico. Alcuni personaggi compaiono, scompaiono e ricompaiono quando meno ce lo aspettiamo. Spesso i discorsi (assurdi) di molti personaggi vengono lasciati in asso e ripresi successivamente. E andando avanti con la visione (non troppo dolorosa, nonostante certi dettagli molto spinti: certo respingente), ci si rende conto di stare dando un’occhiata da vicino a un altro mondo, che probabilmente conosciamo di persona ma che non ha mai fatto direttamente i conti né con la nostra coscienza né con il nostro sguardo, pronto a scavare nella lordura, nel grasso, nello sporco e nell’aria tersa e vuota di una temperatura distante dalla canicola.

Rude ma divertente, crudele ma anche spassoso, Im Keller dosa l’alto tasso di sadismo con l’ironia, crescendo poi nella mente dello spettatore, che a fine visione capisce ciò che davvero ha visto: la parte più bassa e – purtroppo?, per fortuna? – normale dell’essere umano. Le anime candide si astengano. Presentato fuori concorso al 71° Festival del Cinema di Venezia, con imprevisti applausi piuttosto che con più prevedibili fischi. Forse perché si è saputo ridere anche di un uomo orgoglioso per il proprio flusso spermatico, di una donna martoriata sul deretano, di una pulizia igienica fatta con la lingua e di molti altri dettagli anche meno crudi che faranno anche ridere, ma che sono anche testimonianza di una natura umana spaventosa e spaventosamente indifferente, assente, morta.

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