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L'australiano

Regia di Jerzy Skolimowski vedi scheda film

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La recensione su L'australiano

di pazuzu
8 stelle

«Ogni parola di ciò che sto per dirle è vera, solo che io la potrei dire diversamente: è sempre la medesima storia, ma io vario la sequenza degli eventi e vario il momento culminante di quel tanto che basta a far sì che sia viva.»

Charles Crossley è un uomo colto ed intelligente con un problema: è convinto che la sua anima sia sminuzzata in quattro pezzi. Per questa ragione è ricoverato in una clinica psichiatrica a Lampton, nella campagna inglese: qui, nel corso di una partita di cricket, si trova a parlare ad un soggetto esterno di come egli sconvolse la vita di coppia del musicista e tecnico del suono Anthony Fielding (un altro degli attuali pazienti) e della consorte Rachel quando, autoinvitatosi in casa loro dopo aver abbordato lui con un pretesto, rivelò ai due di aver passato diciotto anni tra gli aborigeni australiani, di aver ucciso lì i propri figli appena nati come permesso dalle leggi del posto, e di aver assistito a diversi episodi di stregoneria, confidando poi all'uomo di essere altresì in grado di emettere un urlo talmente terrificante da poter uccidere chiunque lo ascolti, e giungendo in men che non si dica all'obiettivo che si era preposto fin dall'inizio: sedurre e concupire la donna ricorrendo alle arti magiche.
Tratto da un romanzo breve di Robert Graves (il cui nome torna, nel film, per impersonare il ragazzo che ascolta il resoconto di Charles Crossley) e sceneggiato da Michael Austin insieme al regista Jerzy Skolimowski, The Shout è la messa in scena dello scontro tra il mondo borghese rassicurante ma monotono ed artefatto dei coniugi Fielding e quello esuberante e selvaggio di Charles Crossley (un Alan Bates mefistofelico e sinistro), sganciato dalla morale comune e causa dell'abbandono di ogni pudore sessuale da parte di Rachel (una Susannah York affascinante e disinibita) e del conseguente delirio paranoico di Anthony (un John Hurt dall'aria costantemente sconvolta); ma The Shout è, prima di tutto, il racconto disordinato di un pazzo, e gli eventi sono narrati assecondandone lo sguardo alterato ed instabile.
Tutto ruota attorno a due individui palesemente antitetici, entrambi attratti dalle illimitate potenzialità del Suono, dalla sua origine e dai suoi effetti, ma spinti da interessi e scopi quantomai distanti tra loro: Charles ha messo a punto il suo urlo tonante ed assassino apprendendo una tecnica che gli permette di trasformare la rabbia e le pulsioni più recondite e violente in un estremo atto di furia animalesca, mentre Anthony genera musica campionando i rumori più disparati (il battito d'ali di un'ape chiusa in un barattolo di vetro, un contenitore di latta rotto strofinato dall'archetto di un violino) ed utilizzando un metronomo per dargli un ritmo, disciplinarli, normalizzarli.
Fantasia contro razionalità, istinto contro ragione, sono le architravi su cui monta la guerra psicologica che Charles Crossley muove al suo negativo, e trovano sublimazione nella scelta dell'autore di accogliere per sé la medesima sfida (e la medesima follia), producendo un crescendo di situazioni assurde ed affidando al piglio evocativo e delirante delle immagini fotografate da Mike Molloy, al gran lavoro sul sonoro di Alan Bell (unito al commento musicale atmosferico e spettrale di Anthony Banks e Michael Rutherford, rispettivamente organista e chitarrista dei Genesis), e ai sapienti incastri del montaggio di Barrie Vince, il compito di mescolare indizi e depistaggi oltre che di imporre un costante senso di minaccia incombente, creando un'opera sinceramente anarchica e orgogliosamente imperfetta, un'opera urgente ed eccessiva, che suggerisce metafore e pulsa cinema, un'opera irruenta passionale ed ambigua che sfida la logica, che al calcolo preferisce l'azzardo, e alle certezze l'immaginazione.

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