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Annabelle

Regia di John R. Leonetti vedi scheda film

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La recensione su Annabelle

di EightAndHalf
2 stelle

La 'mitica' (ma non cult) bambola di The Conjuring (filmetto un po' sopravvalutato, già disperso nell'oblio delle opere dimenticate, nel flusso cinematico-orrorifico) torna per una storia tutta su di lei, con quella sua faccetta ghignante che non si capisce bene se tira fuori la lingua o si limita a sorridere. Un regalo graditissimo e che chiunque avrebbe buttato via, fatto da John a Mia, in occasione della nascita della loro piccola figlioletta Lea. E così la presenza della bambola comincia a scatenare strane conseguenze, violenza efferata e singolari crudeltà soprannaturali, fino al chiarimento dei conti. La disarmante inutilità della trama e dei protagonisti basterebbe a cestinare un filmetto come Annabelle, ancora più filmetto del filmetto di cui è lo spin-off, quel filmetto che comunque era di James Wan e che in un certo senso garantiva quella genuina tensione che ci si aspetterebbe da una pellicola dell'orrore. Invece no, Leonetti è un mestierante, e solo la regia sembra regalare qualche guizzo speciale, se non fosse che si tratta di quel minimo sindacale che non ti aspetti, vista la pochezza ancora più esasperante del contorno. Personaggi fritti e rifritti di una tranquillità borghese scombussolata da un demone che, per quanto riguarda lo spettatore, potrebbe anche tenerseli e ucciderli, quegli stolti umanoidi (no, nessuna empatia), succhiando tutte le anime che vuole. Perché, così come in Insidious (che, checché se ne dica, sta creando un filone), anche qui c'è un demone interessato a un'anima, benché per l'apparizione del suddetto si debba aspettare ben un'ora di pellicola noiosissima e incapace di far prendere uno spavento bell'e buono se non dopo una cinquantina di minuti, quando quelle sequenze meglio congegnate - ...no, in realtà banali e telefonatissime - offrono un possibile sussulto sulla poltrona. Lo spavento, se si vuole, arriva, ma non è un appiglio per giustificare una simile accozzaglia di luoghi comuni, fatta con lo stampino da prodotti che invadono le nostre sale e ammutoliscono altre opere che meriterebbero maggiore distribuzione.

 

Annabelle Wallis

Annabelle (2014): Annabelle Wallis

 

L'ambientazione è fatta giusto perché si deve fare, tutta la storia è un pretesto per approfondire una sottotrama che non meritava di essere approfondita (vedi ancora The Conjuring). L'estetica è più da film per la televisione, approdato sugli schermi come un mostruoso ibrido di citazioni - che forse non lo sono perché si esplorano tensioni già viste e riviste - e acciambellato dentro una scontatezza con pochi precedenti, inframmezzata da frequenti pennellate di grottesca ridicolaggine (vedi il prete fissato per le foto, o la medium "migliore amica"), il tutto diretto verso un finale da volemosi bene che anche le più grandiose immondizie come il recente 1303 normalmente ci hanno risparmiato. Per non parlare della semplicità con cui ci si dimentica il "sacrificio" finale (ci si potrebbe divertire a dire che si rasenta il razzismo). Se il genere horror è destinato a raschiare il barile dell'immaginario collettivo per latenza di idee originali, tanto varrebbe che stesse zitto.

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