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A Blast

Regia di Syllas Tzoumerkas vedi scheda film

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La recensione su A Blast

di MarioC
5 stelle

Grecia, oggi. Una donna, un incendio. Dei sensi e, soprattutto, dei punti cardinali.

 

Può sembrare affermazione scontata, ma il cinema ellenico possiede una sua classicità, o almeno si pone alla sua costante ricerca. Con esiti altalenanti: se con Miss Violence Avranas costruiva un raggelante e soffocato dramma, nel solco di una vera e propria tragedia greca, se Lanthimos preferisce gettare semi di ere lontane in un futuro indefinito o in spazi senza tempo e riferimenti, questo A blast di Syllas Tzoumerkas cala gli echi del passato in un altrettanto drammatico recinto socio-economico, che è quello della Grecia spaurita e senza difese di questi anni ingloriosi.

Crisi economica e crisi personale si saldano nella figura di Maria, giovane madre anaffettiva, moglie passionale e innamorata. Un incendio (l’esplosione del titolo) sembra dettarle una via d’uscita facile e redditizia. Ma le fiamme, anche e soprattutto metaforiche, avvolgeranno le certezze e sposteranno gli obiettivi versa la ricerca di una felicità totalizzante che permane quale mera meteora in un contesto di generale privazione ed infelicità.

 

L’andamento del film è discontinuo: dialoghi stranianti e di bassa consistenza (gli scambi tra le due sorelle, ugualmente vinte da un tarlo che ha molto di indefinibile, le incomprensioni familiari circa la portanza economica della piccola attività ed i dubbi che si insinuano profondi sulla cifra morale della madre, accusata di fingere anche un’invalidità), lunghe scene di sesso, rivestite della patina del flashback, a sancire quella che resta l’unica probabile esperienza forte di una vita persa tra viltà, solitudini e incapacità di fronteggiare l’oggi e il domani, frammenti di vita quotidiana che trasmettono l’angoscia buia di un popolo diseredato e vinto. Elementi contraddittori e pregnanti che potevano saldarsi ed assicurare al film un continuum emozionale di grande presa e che, invece, restano purtroppo alquanto distinti, registri narrativi un po’ a compartimenti stagno, soprattutto inadatti a provocare in chi guarda il giusto grado di immedesimazione e passione.

Se non proprio un’occasione persa, un’opera rivedibile, forte quando inocula la tristezza negli occhi della protagonista assoluta (una maiuscola Angeliki Papoulia), arrancante quando sposta il mirino sui citati discorsi devianti: le stesse scene erotiche risultano avere un minutaggio eccessivo e si ripetono in loop, senza nulla aggiungere o togliere a quello che è il discorso a loro sotteso. Resta una forza di esposizione a suo modo classica ed una buona fede evidente che avrebbe avuto tuttavia bisogno di una sceneggiatura maggiormente fluida.

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