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Perfidia

Regia di Bonifacio Angius vedi scheda film

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La recensione su Perfidia

di Peppe Comune
8 stelle

Angelino Manunta (Stefano Deffenu) è un ragazzo di 35 anni senza lavoro e senza apparente amore per la vita. Si aggira durante l'inverno tra le disadorne strade della provincia di Sassari, sembra non avere nessuno scopo se non quello di riempire le giornate tutte uguali stando nel solito bar in compagnia dei soliti avventori. La morte improvvisa della madre lo avvicina al padre Peppino (Mario Oliveri), un uomo ormai anziano che non si è mai preoccupato più di tanto di questo figlio strano e taciturno. Pensa quindi che è arrivato il momento di trovargli un lavoro, contando su delle buone amicizie e sul fatto che gli è stato proposto di candidarsi alle prossime elezioni comunali. Ma le cose si complicano quando un ictus lo costringe a vivere sulla sedia a rotelle e Angelino deve prendersi cura di questo padre che non ha mai imparato a conoscere.

 

Stefano Deffenu, Mario Oliveri

Perfidia (2014): Stefano Deffenu, Mario Oliveri

 

Di Bonifacio Angius avevo già visto “Ovunque proteggimi” e mi era piaciuto per come la solitudine arrabbiata dei due protagonisti trovava una sua valvola di sfogo nelle sottaciute richieste di aiuto che entrambi si scambiavano in ragione delle reciproche possibilità. Un film su di un'amicizia che potrebbe trasformarsi in amore, tutt'altro che sedotto dalla tentazione di spettacolarizzare la voglia di tenerezza di entrambi e il peso del vizio incombente su ognuno di loro. E mi ha altrettanto convinto “Perfidia”, confermandomi l'idea che già mi ero fatto del regista sardo, ovvero, quella di un autore discreto a cui non difetta il coraggio di voler dare ai suoi film una veste stilistica ridotta all'essenziale (e in tal senso sono curioso molto di vedere “I giganti”, uscito quest'anno).  

Ambientato in una Sardegna tutt'altro che solare, tra le strade della disadorna provincia di Sassari, “Perfidia” (che precede “Ovunque proteggimi” di quattro anni) è un film pervaso di un pessimismo che sembra non fare sconti, pieno di silenzi che si lasciano ascoltare e con la morte fuoricampo della madre/moglie dei due protagonisti a fare la pietra angolare di un rapporto filiale che cammina lungo le corde tese dell'incomprensione. Il film vive dell'inadeguatezza alla vita di Angelino, ma la regia ci lascia conoscere questo dato caratteriale del film senza preoccuparsi di esplicitare i motivi che lo hanno generato. La macchina da presa si limita a seguire il passo claudicante di Angelino, riempendo le ellissi narrative con una narrazione dai toni crudi e crepuscolari. Ecco, con riferimento al coraggio a cui si faceva riferimento prima, “Perfidia” potrebbe essere uscito dalla mente di un Pedro Costa tanto e disarmante l'apatia corporale dei due protagonisti e tanto è privo di comunicazione ogni tentativo di avvicinamento che l'uno fa verso l'altro. 

Basta solo la parte iniziale del film per rendere chiaro tutto questo, durante il funerale della madre di Angelino. Peppino è seduto accanto ad un amico. “Quanti anni ha tuo figlio ? Gli chiede questi. “Una trentina” risponde vago Peppino. “E che mestiere fa ? domanda ancora l’amico. Peppino lo guarda, e non risponde perché non può farlo, perchè non sa se suo figlio lavora o meno. Questo semplice scambio di battute da tutto il senso dell’evanescenza della relazione tra padre e figlio, la natura liquida di un rapporto che con il venir meno dell'anello di congiunzione non ha più l'alibi di poter rimanere nascosto. Questo rapporto inizia quindi a rimettersi in carreggiata, promettendosi nulla di eccezionale ma neanche rimproverandosi colpe che non ci sono. Padre e figlio si conoscono poco semplicemente perché si sono ignorati per una vita intera, l’uno perché preso dai suoi affari personali, l’altro perché non si è mai sentito al centro delle attenzioni paterne. Adesso cercano di parlare, ma le parole che si scambiano servono solo a confermare quanto sia incolmabile la loro lontananza. Ma si sforzano, perché soprattutto l’età del padre rende ormai improcrastinabile altri rinvii. Peppino vuole trovare un lavoro a questo figlio trentacinquenne senza ne arte né parte, vorrebbe recuperare un po' tempo perduto facendo leva sulla convinzione tutta sua che avendo ancora da poter dare alla società potrebbe chiedere in anticipo qualcosa in cambio. Perché “la vita è tutto un imbroglio e se vuoi vivere bene devi stare in questo improprio”, sentenzia senza mezzi termini. Angelino risponde a queste sollecitazioni paterne con apatica accondiscendenza, come chi non vuole dispiacere al padre ma neanche allontanarsi troppo dal suo (dis)equilibrio esistenziale. Mostra un disincanto che non riflette tanto una mancanza di affetto nei confronti di Peppino Manunta, quanto un distacco da quel mondo fatto di piccole e grandi furberie entro il quale il padre vorrebbe farlo entrare. Angelo parla poco e solo per dire l'essenziale, quasi come se fosse un automa che non si preoccupa affatto di frequentare posti diversi da quelli di sempre (come il solito “squallido” bar, con i soliti amici e le solite azioni), di seguire la scia comportamentale dei suoi amici (come quando si accoda agli scherzi fatti ad una "ex" avventore del bar che ha avuto il torto di essersi fatto una posizione grazie al matrimonio) o di andare dritto al cuore delle questioni sentimentali contrariamente a quando lascierebbe supporre la sua proverbiale timidezza (come quando chiede ad una ragazza che gli piace tanto e che ha appena conosciuta se lo vuole sposare). Angelino è un puro senza sapere di esserlo, inadatto alla vita che lo circonda perché le parole che usa riflettono l'ingenuità di un ragazzo che il concorso di più aventi hanno fatto crescere in una maniera del tutto particolare. 

Durante il film sentiamo spesso la sua voce off contrappuntare l'intreccio narrativo con vaneggiamenti “cristologici” sul senso della vita. Un modo per rafforzare la sensazione che la sua vicenda esistenziale (come quella del padre) sembra fatta per ruotare sempre intorno a sé stessa senza mai avere come offerta uno sblocco veramente salvifico. Se non quello di farsi beffa della propria stessa sorte dandosi a comportamenti venati di un’inusuale ed imprevedibile perfidia. Perché Angelino Manunta incarna il tipo d'uomo che è in cerca di una redenzione terrena che nessuno può offrigli. Fosse solo perché la storia semplice della sua vita sottomessa nessuno è disposto a riconoscerla per quella che è. Film che consiglio vivamente, di un'essenzialità piena di contenuti formali. 

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