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Ma ma

Regia di Julio Medem vedi scheda film

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La recensione su Ma ma

di LorCio
7 stelle

XII BIOGRAFILM FESTIVAL – Nell’arco di pochi mesi, nel mezzo della crisi nazionale che mise in ginocchio la Spagna, Magda, madre di un bambino (ecco le due sillabe: “ma” come il nome, “ma” per la maternità), perde il lavoro d’insegnante, viene abbandonata dal marito, professore di filosofia che la cornifica con una studentessa, e scopre di essere malata di cancro al seno. Letta a prescindere del film, Ma ma è il catalogo delle disgrazie e rinverdisce il filone, un tempo copiosissimo, dei disgrazia-movie. C’è però una variante che riesce a far modulare il racconto secondo un ritmo addirittura leggiadro: è la speranza. Magda incarna non solo la speranza di guarire ma anche quella di poter essere un’altra cosa, di poter cominciare di nuovo una vita accanto ad un uomo che ha perso tutto e ha bisogno di essere rieducato alla serenità. In quel titolo, tuttavia, c’è una frattura segnata dallo spazio che intercorre tra le due sillabe.

 

Teo Planell, Luis Tosar, Penélope Cruz, Anna Jiménez

Ma ma (2015): Teo Planell, Luis Tosar, Penélope Cruz, Anna Jiménez

 

Per quanto raffreddato da un calor bianco di cui è formalmente responsabile la sterile fotografia di Kiko de la Rica, Ma ma è un puro melodramma dominato dal fantasma della morte, la tragedia sentimentale che risiede nel crinale della spaccatura data dal titolo: “ma” come malattia che si sdoppia per mettere alla prova la protagonista, prima nei termini di ricognizione del dolore e poi di costruzione del futuro. Come in Mia madre di Nanni Moretti, benché filtrato da una congiunta e non dalla malata, emerge fortissimo il tema della trasmissione in quanto “mettere in movimento”, la donazione di qualcosa d’inaspettato che può simboleggiare una vita oltre la vita.

 

Penélope Cruz

Ma ma (2015): Penélope Cruz

 

In un film segnato da una cesura sin dal titolo, le languide canzoni pop del repertorio spagnolo (Lucia e Miguel Bosè, per dire), cantate dal prestante ginecologo con un problema di paternità, alleggeriscono un racconto che non rinuncia a qualche fuga onirica suggerita dalla vita immaginaria di una bambina fotografata in Siberia. Nella seconda parte il film si dilata e perde un po’ quota, non sempre riesce a mitigare l’angoscia con una normalità familiare necessariamente idealizzata ma ben rappresentata dal delicato tessuto musicale di Alberto Iglesias. Però alla fine il film realizza il suo obiettivo con rigorosa dolcezza e ruffiana lacerazione e deve molto alle interpretazioni dei due protagonisti, il cristologico Luis Tosar e Penélope Cruz in stato di grazia ogni volta che le capita un’eroina nel cui destino ha tutto il dolore del mondo.

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