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The End of the Tour

Regia di James Ponsoldt vedi scheda film

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La recensione su The End of the Tour

di MarioC
5 stelle

Uno scrittore geniale, un altro un po' meno. David Foster Wallace in un bignamino percorso da buona fede e, tuttavia, malato di faciloneria.

Domanda: è possibile comprimere in 100 minuti la infinita e un po’ irriducibile complessità di uno scrittore come David Foster Wallace? The end of the tour, uscito in luglio negli Stati Uniti e prossimo alla epifania italiana, un po’ scansa il rischio insito nel quesito iniziale, scegliendo di isolare un breve segmento della anch’essa breve esistenza di DFW, quello del successo planetario raggiunto con il monumentale Infinite Jest, summa della letteralmente enciclopedica cultura dello scrittore, rapsodia per logorrea ed entomologia umana, canto sinfonico e sofferente innalzato a tutte le possibili dipendenze di animo e mente: mille e più pagine che abbracciano l’universo mondo, in una trama solo apparentemente piana, che si perde in rivoli inconoscibili, deviazioni insensate e al contempo assennate; il tutto in un apparato editoriale in cui ciò che salta all’occhio è il sottotesto, le centinaia e centinaia di note che sono Wallace, ne fungono da consapevole controcanto e da esposizione di conoscenza nozionistica follemente totale.

Chi conosce DFW sa quanto il sogno dello scrittore fosse in realtà irrealizzabile e come, probabilmente, lo condusse al suicidio: abbracciare lo scibile nella sua reale interezza, non lasciare interstizi tra uno spazio di conoscenza e l’altro, farsi maestro e divulgatore di sigle, elementi chimici, fisica, sport, medicina e tutto il resto che una vita mediamente lunga possa sfiorare lungo il suo dipanarsi. Certo, Wallace ci andò vicino: la lettura di una qualsiasi delle sue opere sgomenta per la completezza di quella cultura in costante divenire, propinata in dosi sapienti di humor sofferente e umoristica sofferenza.

Il film, si diceva, lo coglie nel momento di massima forza e fragilità: all’apice di quel successo che ne acuiva i dubbi di intellettuale in perenni ambasce con se stesso. E lo fa con una certa esattezza filologica, partendo dal libro di David Lipsky “Come diventare se stessi”, in cui l’autore, che ebbe il non semplice compito di realizzare per la rivista Rolling Stone un ritratto di DFW, riporta parte di quei giorni passati insieme e delinea un santino post-mortem dell’autore. The end of the tour è interessante nel confronto/scontro tra due personalità di scrittori quasi coetanei: l’uno intimorito ed indubbiamente affascinato dalla grandezza totemica di Wallace, l’altro preda delle sue piccole, forse insignificanti, manie, dedito ad una solitudine consapevole, schiavo della spazzatura televisiva ed alimentare, spaurito ed incapace nel trasmettere di sé un’immagine di assoluta e banale normalità, al netto delle conferenze con pubblico osannante, degli autografi richiesti tra la neve dell’Illinois, di una personalità (anche fisica) di dirompente espressività. Il problema è che, al di là delle ottime interpretazioni di Jesse Eisenberg e, soprattutto, Jason Segal (un Wallace quasi pedissequo, almeno rispetto a quello che il non sterminato repertorio video-fotografico ci ha tramandato), chi non conosce lo scrittore ne ricaverà un’immagine che, al di là della voluta parzialità, non può rendergli giustizia. Non c’è un passo di Infinite Jest che venga citato, si postula la enormità di DFW quale dogma inconfutabile e senza radici, e si rappresenta un uomo (più che uno scrittore) insicuro, interiormente malfermo, anche rancoroso ma, in fondo, bonario con l’altro da sé, tralasciandone la visionarietà, la sete di conoscenza, il quotidiano confronto, e la conseguente battaglia, con l’intelletto. Almeno due i particolari imperdonabili: Wallace sempre in bandana (Internet, un po’ meschinamente, docet) e/o trasandato; Wallace che si scatena in una francamente improbabile scenata di gelosia nei confronti di Lipsky, rimproverandogli l’eccessiva gigioneria nei confronti di una sua amica.

C’è una domanda che attende risposta: sì, si può, è possibile. Ma, forse, non è necessario.

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