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Messi

Regia di Alex de la Iglesia vedi scheda film

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La recensione su Messi

di ethan
6 stelle

'Messi - Storia di un campione' o, più semplicemente 'Messi' come recita il titolo originale, si tratta di docufiction e non appartiene al genere documentaristico in senso stretto, dato che il regista basco Alex de la Iglesia, autore più avvezzo ad esplorare generi come horror e thriller e al primo lavoro di questo tipo, opta per una commistione tra immagini di repertorio, ricostruzioni di finzione dell'infanzia del fuoriclasse argentino nativo di Rosario, accasatosi poi a Barcellona nel 2000 perché né il Newell's Old Boys e tantomeno il River Plate non vollero pagargli le cure necessarie per ovviare a un disturbo legato alla carenza dell'ormone della crescita, ed infine discorsi attorno ad un tavolo di conoscenti, amici, tecnici e compagni di squadra del fenomeno, tra cui Johan Cruijff, Menotti, Piqué, Mascherano e Iniesta, che tutti gli appassionati conoscono. 

Ne nasce così un lavoro molto diseguale e sbilanciato, in cui le varie anime del film faticano a stare insieme: le parti documentarie, fatte di filmati amatoriali di Leo, bambino in Argentina, ragazzo alla Masia, la cantera del Barça, e poi finalmente a 17 anni in prima squadra nella Liga e in Champions League, ed infine a 18 con la maglia della Seleccion argentina, costituiscono il meglio, perché da esse - per chi ama il calcio, e io sono fra questi - si può apprezzare, comprendere e ammirare lo straordinario talento di cui madre natura lo ha dotato, che gli consente una miriade di giocate incredibili, effettuate ad una velocità pazzesca e avversari saltati come birilli, nonostante un fisico costruito negli anni, ma comunque 'normale' e un'altezza di soli 169 centimetri. 

Al contrario, la ricostruzione degli anni di Lionel Messi bambino è a dir poco imbarazzante, tra scenette abborracciate alla bell'e meglio, siparietti strappalacrime in famiglia e montagne di chiacchiere che lasciano il tempo che trovano in quella coi commensali riuniti attorno ad un tavola, il tutto peggiorato da un doppiaggio tra i peggiori che io abbia sentito negli ultimi anni, simile a quello di certi telefilm di Italia 1 del pomeriggio tanto per dare un'idea. Per fortuna, con il passare dei minuti, la parte documentaristica, anche grazie ad un montaggio veloce ed efficace, prende il sopravvento, con giocate clamorose nei campi di calcio di tutta Europa e un susseguirsi di trionfi per il suo club (ma non con la nazionale albiceleste) che, al momento pare inarrestabile, ma è un peccato perché con tale soggetto si poteva sperare in un 'risultato' migliore di questo. 

Tornando alla parte basata sulle parole in libertà dette intorno ad un tavolo, c'è davvero poco di significativo da ricordare o nulla di nuovo per chi 'mastica' di calcio, ma, a mio avviso, due frasi vanno citate: la prima la dice Luis Cesar Menotti, detto el Flaco, allenatore della nazionale biancoceleste ai tempi di Maradona, che afferma che ''Nel calcio ci sono solo quattro azioni, cioè finalizzare, gestire, recuperare e difendere''; la seconda è di Johan Cruijff, ex calciatore olandese tra i più grandi della storia nonché ex tecnico dei blaugrana, (il Barça), che dice che 'Il calcio si gioca con la testa usando i piedi'. parole queste che tolgono quella patina di retorica e quei significati secondari - il calcio come metafora della vita - che molti soloni e studiosi spesso vogliono dare allo sport più amato del mondo, oppure uno strumento per guadagnare montagne di soldi mediante lo sfruttamento di marchi e immagini di club e calciatori, restituendogli quella semplicità che fa si che sia così bello.

Sarebbe curioso conoscere se de la Iglesia ha lavorato su commissione su una storia che non era nelle sue corde oppure se mosso da una reale passione, ma tale lungometraggio, degno di interesse pur con grossi difetti elencati, se paragonato a uno qualsiasi dei profili dei grandi campioni, curati da Federico Buffa, che ho avuto modo di vedere recentemente, perde nettamente il confronto.

Voto: 6 (stentato).

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