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Regression

Regia di Alejandro Amenábar vedi scheda film

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La recensione su Regression

di amandagriss
3 stelle

 

Il ritorno (atteso) sul grande schermo per Alejandro Amenábar non è certamente di quelli da ricordare.

Il regista iberico, autore di opere (Tesis, Apri gli occhi, The others, Mare dentro, Agorà) che hanno ricevuto importanti consensi di critica e di pubblico, questa volta proprio non convince.

L’umanesimo a contraddistinguere la sua produzione, l’empatia (con lo spettatore) per la quale la sua penna di attento, solido sceneggiatore è riuscita a delineare personaggi di grande spessore psicologico-morale capaci di rimanere scolpiti nella memoria di chi si è accostato ai suoi lavori, qui sono appena rintracciabili, quanto basta per fornire di valide/credibili argomentazioni la storia malamente imbastita, altra ennesima variante di inferno sulla terra e prima di tutto dentro se stessi.

Ed infatti, il film, un thriller poliziesco che batte i sentieri insidiosi del satanismo, delle sette adoratici del Maligno proliferanti nelle piccole arretrate città di provincia coi loro macabri rituali e i brutali sacrifici di sangue, fin dalle primissime battute sa immergerci nella torbida vicenda e attirare da subito la nostra attenzione, grazie anche all’ottima confezione di cui si fa forte.

La fluida sapiente direzione di matrice classica ma non vetusta, la giusta opprimente atmosfera resa da una fotografia perennemente cupa e plumbea, un commento musicale vagamente hitchcockiano in grado di conferire drammaticità e ammantare di seriosità i fatti che vediamo scorrere sullo schermo, i frequenti momenti onirici di suggestiva efficacia rendono il racconto appetibile, alzando di molto le aspettative riguardo ad un intreccio che, nel suo dipanarsi, immaginiamo assolutamente accattivante e ad un epilogo -di certo- per nulla scontato, all’altezza di un discorso profondo e mai banale, che fuoriesca dai confini del filone satanista per allargarsi a riflessioni esistenziali universali.

Ma nei fatti, nulla di quanto che ci è stato promesso (o abbiamo intuito) in partenza viene mantenuto.

La narrazione, ovvero l’indagine del detective più sveglio della piccola e male in arnese stazione di polizia locale, non si fa mancare alcuni dei topoi del caso come i sinistri disegni di creature spaventose, i crocefissi rovesciati, le sacre bibbie, i preti accigliati e le chiese avvolte in una poco rassicurante penombra, e nel suo incedere lento si rivela piuttosto confusa, inutilmente arzigogolata, monocorde e fredda nonostante scalpiti per sortire l’effetto contrario. Facendosi, invece, un po’ troppo (inaspettatamente) sbrigativa su un brutto piatto finale che non sorprende (per contenuti e originalità) proprio nessuno.

Per di più, il coinvolgimento emotivo e sensoriale conseguente all’addentrarsi della pellicola nei territori sempre affascinanti della paranoia, col fine di perturbare durante e pure dopo la visione, malgrado i felici esiti formali, non va in porto come previsto sulla carta. E così, non resta che assistere distanti seppur partecipi ai flosci snodi narrativi, privi di carattere e tantomeno della minima traccia di mordente.

Da apprezzare è il punto di vista dell’autore, la sua condanna al bigottismo, al fanatismo religioso ancora così radicati nella cultura contemporanea non risparmiando, però, fendenti alla scienza (la psicoanalisi e le sedute d’ipnosi regressiva) fallace e tanto arrogante quanto il Male che si prefigge di combattere.

Bravo Ethan Hawke, anche se il doppiaggio penalizza la sua valida performance di coscienzioso detective combattuto tra ragione e fede, perso nei labirinti della propria mente suggestionata e terrorizzato dall’irrazionalità scaraventata nel reale.

Indovinata la scelta di Emma Watson, fanciulla dal viso d'angelo eppure incredibilmente ambiguo, perfetta nell’incarnare un ingenuo candore che puzza di zolfo lontano un kilometro.

 

 

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