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Il tagliagole

Regia di Claude Chabrol vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il tagliagole

di ligeti
10 stelle

A Claude Chabrol non interessano mai le storie (gli intrecci), ma l’interiorità dei suoi personaggi. Men che meno gli interessano i generi, che come in Antonioni non sono altro che un puro pretesto da cui partire per scandagliare l’animo ed i sentimenti umani. Eppure, Il tagliagole fonde perfettamente due generi in superficie così diversi come il thriller (a tratti quasi horror) e il mélo, che si abbracciano e si intrecciano in un tutt’uno segretamente inscindibile. Siamo in un piccolo paese del Périgord, dove Hélène, un’insegnante di scuola elementare, e Popaul, un macellaio fortemente segnato dall’esperienza della guerra, si incontrano durante un matrimonio e diventano amici. Poco dopo, una donna viene trovata uccisa nel bosco e in seguito un altro cadavere è rinvenuto da Hélène stessa mentre è in gita alle grotte con i bambini della sua scuola. Hélène ha avuto una breve e intensa relazione dieci anni prima che l’ha fatta soffrire al punto da spingerla a fare a meno dell’amore e ad accontentarsi del suo lavoro. Popaul scherza, le dice che a non fare l’amore si diventa folli; lei controbatte che si può diventare folli anche a farlo. L’arrivo di Popaul nella vita di Hélène potrebbe essere un’occasione per rimettere in discussione la sua scelta di rinuncia. Ma sul luogo del delitto lei trova un accendino uguale a quello che aveva regalato a Popaul in occasione del suo compleanno. La trama è quanto mai essenziale e non ci sono grandi colpi di scena, Chabrol non mischia quasi per niente le carte, ma lascia affiorare lentamente — come di consueto nel suo cinema — l’orrore che si cela dietro l’apparente tranquillità della provincia: esemplare, in questo senso, la scena del ritrovamento del cadavere durante la gita alle grotte. Un orrore al quale Hélène (una Stéphane Audran a dir poco perfetta) cerca di opporsi con tutta la forza dei propri sentimenti, nascondendo l’accendino e non consegnandolo alla polizia. Rimuove la verità dentro di sé, arriva a negarla perché ormai si è innamorata del mostro e perché, inconsciamente, non desidera rivivere la delusione del passato. Una nuova delusione la strazierebbe. Eccola infatti scoppiare, nel momento in cui Popaul tira fuori finalmente l’accendino, in un pianto liberatorio: ma è solo un’altra illusione. Nel finale (in cui Chabrol, da vero Maestro, non sbaglia una virgola) Popaul le dice che solo quando c’era lei allora riusciva a non vedere più quel sangue che era stata la costante della sua vita: esattamente la stessa cosa che lei deve aver provato per lui, anche se Popaul ne è forse inconsapevole. Le ultime scene nell’ospedale sono quanto di più gelido si possa immaginare, il bacio di lei è il bacio della morte. È l’amore il vero macellaio del film di Chabrol, è lui le boucher, che strazia corpi, che miete vittime e taglia gole, che prima anima i corpi rendendoli pulsanti di sangue scarlatto e poi li abbandona a se stessi, ancora più soli e più sofferenti di prima. Come Stéphane Audran che, nell’ultima inquadratura di questo grandissimo film, si ferma a fissare il vuoto dinnanzi a sé, con alle spalle un’altra luce che non potrà illuminarla e che anzi la renderà sicuramente, in controluce, ancora più buia. VOTO: 4,5/5

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