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L'attesa

Regia di Piero Messina vedi scheda film

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La recensione su L'attesa

di OGM
8 stelle

Elegia dell'attimo fuggito. Con una straordinaria Juliette Binoche.

Assenza. Come non detto. Cancellare il vuoto. Riempirlo di niente. Anna s’immerge nella voglia di adorare il nulla, anche se ciò fa tremendamente male. Insegue la continuità lungo il fuggire inesistente di un filo spezzato, rischiarato a malapena dalla luce del tramonto, sbatacchiato dal vento, ma con tutto il rispetto dovuto alla sua fragilità. La fine è la sospensione di un funambolo, che rimane in aria, nell’attimo eterno che precede la caduta. Anna è ancora con Giuseppe, con il suo essere lontano, con il suo non ritornare, il suo non rispondere al telefono, il suo non essere visto, il suo non potere parlare. Lo trattiene dentro a un presente che, per il resto, ha rinunciato a lui, ma a cui lei intende chiedere ragione di tale rassegnazione. Vuole che l’uscita di scena del figlio abbia la dignità logica di un epilogo, lo status letterario di una sintesi, che spiega tutto, nello scandire i suoni distaccati di un addio. Anna si separa dal mondo che sta voltando pagina, restando da sola a leggere l’ultimo capitolo. Il caso le ha messo accanto una compagna sconosciuta, una ragazza di nome Jeanne, con cui può condividere l’emozione trattenuta di quel racconto conclusivo. Jeanne deve partecipare al suo gioco, che assomiglia alla compilazione di un diario segreto, nel quale la confessione più audace è non dire tutta la verità. Rivelare le menzogne più intime è l’oggetto della sfida che Anna ha deciso di affrontare con Jeanne, per mettere alla prova il suo dolore carico di amorosa immaginazione, la potenza della sua fede sconfinata negli insondabili miracoli dell’al di qua.  Giuseppe è scomparso, ma con lui non è svanito il senso del suo essere. In particolare non si è interrotta l’attesa di una madre, o quella di una fidanzata: ciò sarebbe assurdo, nei confronti di una persona che, semplicemente, prosegue nel suo mancare, nel suo farsi desiderare, nel suo creare preoccupazione. Dei morti occorre rimettere a posto le cose, per donarle, o riutilizzarle. Una di queste è il loro stesso non esserci, che deve trovare una collocazione, deve poter servire a qualcuno, che, prendendolo in mano, si possa ricordare di chi non c’è più.  È anche quella una cosa da esaminare, per valutarne lo stato, per scegliere cosa farne, per decidere a chi darla. Anna la offre a Jeanne, che però non deve sapere l’autentico valore di quel regalo. Lo deve accettare con la naturalezza di chi non conosce l’importanza del bene che gli è stato affidato. La sua apparenza deve restare coperta da una bellezza sfuggente, che si può ammirare con semplicità, come il dettaglio marginale di un quadro, un bicchiere che rotola sul bordo di un tavolo, un materassino dimenticato in mezzo al cortile. Presenze futili e leggere, che si trovano lì per caso, a denotare un passaggio concluso, che però non ha eliminato le tracce. Sono piccole esistenze residue, ravvivate dalla fiamma inquieta di una giovane avventatezza, di una sbadataggine che contiene il richiamo a ritornare sui propri passi, per ripristinare un ordine destinato ad essere di nuovo sconvolto. Il film di Piero Messina tratteggia l’indugio come l’abbozzo di una promessa non mantenuta, di cui non si sono estinti gli effetti, perché la natura procede per gradi, è pigra e ribelle ai cambiamenti, il domani è solo il tempo dell’oggi a cui noi diamo un nome diverso. Il respiro non interrompe il suo ritmo, non si accorge del prima e del dopo. Possiamo dunque insistere a dargli il significato dei minuti che trascorrevano ieri, tra le ansie che sono rimaste lì, ancorate al cuore, dilatando la profondità dei singoli attimi. La tormentata penombra della nostra ignoranza, incomprensione, incompletezza è la casa degli spettri che noi chiamiamo anima, e che diventa visibile, quando tutto intorno è silenzio. Questo racconto la fa uscire dal suo rifugio, e le dà voce, facendone la narratrice di ciò che, terminato l’ingannevole incanto della normalità, continua ad essere vero, a dispetto del paradosso, imponente e straniante, che la espelle dalla realtà degli altri. 

 

Juliette Binoche

L'attesa (2015): Juliette Binoche

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