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Youth - La giovinezza

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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La recensione su Youth - La giovinezza

di laulilla
4 stelle

Dalla fotografia, alla musica, ai riferimenti culturali, talvolta sotto traccia, ma sempre presenti, persino nel locandina (che contiene suggestivi riferimenti al racconto biblico di Susanna e i vecchioni), il regista è abilissimo a utilizzare un grande apparato culturale al servizio del nulla, affascinante involucro del vuoto...

 

Nella ridente località svizzera di Davos, ai piedi delle Alpi, sorge un grande e lussuoso albergo, il Berghotel Schatalp, legato alla memoria di Thomas Mann, che qui aveva scritto La montagna incantata. 

 

Qui Sorrentino ambienta il suo film, facendo, per l’occasione, diventare l’hotel un resort di lusso che accoglie alcuni signori di varia età senza alcun problema economico.

D’altra parte è presto chiaro che per il regista quelli economici non sono i soli problemi dell’umanità, che è afflitta da molti altri guai: l’amore, che eterno non è (anche se ci illudiamo che lo sia);  la gelosia che è vana, ma è sempre strettamente legata all’amore; la salute che se ne va quanto più si invecchia, soprattutto se si è maschi e arrivano i problemi dell’ ipertrofia prostatica, che è, infatti, l’argomento principale di conversazione, in questo albergo, fra due anziani intellettuali, un regista cinematografico (Harvey Keitel) che vorrebbe girare l’ultimo film prima di morire, e un vecchio direttore d’orchestra (Michael Caine), ex grande sciupafemmine, ma fedele (lo dice lui) al suo unico vero amore, la moglie  che ora non c’è più, ciò che lo ha trasformato nell’uomo più casto del mondo (che c’entri per caso la prostata?). 

 

C’è poi la difficoltà di chi vorrebbe vivere di pura meditazione, come il monaco buddista che infatti cerca vanamente di raggiungere la purezza assoluta per levitare; c’è l’angoscia del giovane attore (Paul Dano) che vorrebbe sganciarsi da un ruolo che sembra lo stia imprigionando, tanto gli è stato appiccicato addosso; c’è addirittura Maradona, con tatuaggio enorme di Karl Marx sulla schiena, in gravi ambasce, non riuscendo a respirare per gli straschichi degli stravizi del passato e anche per l’eccesso del suo peso, capace, però, di illudersi di essere ancora un grandissimo tiratore, nonostante non possa separarsi dalla sua bombola d’ossigeno.  Ci sono le lacrime della figlia del direttore d’orchestra (Rachel Weisz), lasciata dal marito per una pop star senza cervello (ma, che, a quanto pare, ha grandi qualità sotto le lenzuola). Si consolerà presto, l'infelice, grazie al muscoloso maestro di alpinismo (anche lui mi è sembrato senza molto cervello) che le insegna il climbing sulle palestre di roccia. C’è Jane Fonda, grande amore dell’adolescenza del musicista e anche del regista, che ha lasciato, con grande dolore, il cinema per la TV…, ma c'è soprattutto il lento distacco dalla vita, oggetto di meditazioni piuttosto ovvie e di riflessioni pseudo filosofiche di grande effetto, pur nella loro sconfortante banalità.

 

 

Come mi era accaduto per La grande bellezza, potrei continuare ancora con questo elenco di poco originali e poco interessanti storie che nel corso del film sono purtroppo anche punteggiate da un eccesso di “parlato” sentenzioso e predicatorio, nonché moraleggiante, ciò che mi ha reso insopportabile il film nel suo complesso.
Eppure mi ero accinta a vederlo con i migliori propositi,  poiché, anche se questo regista non è nelle mie corde, sono disposta a cogliere elementi nuovi e sorprendenti, convinta come sono che i capolavori (rari nel cinema, come in qualsiasi altra forma d’arte) possano arrivare improvvisamente e modificare le nostre convinzioni.

 

Poiché, però, non amo la magniloquenza vuota, né il bell’effetto che genera stupore, né il nulla in confezione regalo, che indica l’abilità nel nascondere l’inconsistenza dell’oggetto regalato, in altre parole, non amo i luoghi comuni, le banalità che cadono dall’alto di una pseudo saggezza, né la lacrima preparata con cura dagli effetti speciali (in cui Sorrentino si dimostra davvero un maestro), non posso dire altro se non che non ho amato questo film.

E, per piacere, ancora una volta, lasciamo stare Fellini!

 

 

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