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Youth - La giovinezza

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Youth - La giovinezza

di ethan
5 stelle

 

In un lussuoso albergo svizzero si incontrano alcuni personaggi, ruotanti tutti attorno a Fred Ballinger (Michael Caine), un anziano e melanconico direttore d'orchestra in pensione, a cui un emissario (Alex MacQueen) della regina d'Inghilterra chiede di esibirsi per il compleanno del principe Filippo: un regista, Mick (Harvey Keitel), intento a ultimare la sceneggiatura di quello che sarà il suo film definitivo, dal titolo 'L'ultimo giorno della vita', con la presenza della diva un po' decadente Brenda Morel (Jane Fonda), un attore, Jimmy (Paul Dano), che si rammarica del fatto che venga ricordato dal pubblico per aver interpretato un supereroe invece che per impegnati film d'autore e Lena (Rachel Weisz), figlia di Ballinger appena lasciata dal marito (figlio di Mick), che cerca di rifarsi una vita e al contempo dare una scossa all'apatico genitore, che non vede la moglie malata da tempo.

A due anni di distanza da 'La grande bellezza', Paolo Sorrentino, autore anche dello script, torna con 'Youth' e continua con il suo cinema fatto di esasperate lentezze, ricercatezze formali al limite dell'estetismo spesso fine a se stesso, 'fellinismi' - la scena del sogno in una Piazza San Marco allagata di notte con Fred e Miss Universo (Madalina Ghenea) rimanda palesemente a 'Otto e mezzo', come del resto il personaggio di Mick che è vicino al Guido interpretato da Marcello Mastroianni nel medesimo film, ma senza i suoi 'problemi con le donne' - che lasciano il tempo che trovano per mettere in scena una storia che non riesce mai a decollare, poiché forse la stessa, in fondo, non interessa molto al regista ma da lui è usata come puro pretesto per far sfoggio di una tecnica sempre di prim'ordine ma che genera in più di un caso qualche sbadiglio e una sensazione di aridità e pretenziosità, dalle quali i suoi primi titoli ne erano fortunatamente digiuni.

Siamo ancora sulla falsariga di 'La grande bellezza', dove, nonostante i premi vinti, uno su tutti l'Oscar per il miglior film in lingua straniera, l'autore si perdeva in mille sotto-storie e altrettanti personaggi perdendo di vista il quadro d'insieme: qui, grazie ad un minor numero di figure delineate, l'esito è leggermente superiore in termini di compattezza ma siamo distanti dalla (mia) concezione di quello che è un film riuscito.

Dei cinque ritratti-cardine che si stagliano con più chiarezza nell'opera, rispetto ai tanti appena abbozzati, i tre maschili lasciano il tempo che trovano: Fred Ballinger, incarnato da un comunque bravo Michael Caine, risulta una figura già vista e stravista in cento altri film, ossia l'artista troppo preso dal suo ambito e dal suo ego da trascurare i suoi affetti personali; il regista Mick di un Harvey Keitel professionale e nulla più non colpisce più di tanto l'immaginario, nemmeno dopo il suo atto 'estremo' ed infine il giovane attore reso da Paul Dano ha la 'colpa' di arrivare appena dopo ed essere troppo simile al Riggan Thomson, che è stato un successo personale tale di Micheal Keaton, da offuscarne qualsiasi altro simile. Passando invece ai personaggi femminili, devo dire al contrario che mi hanno convinto entrambi: Rachel Weisz, nei panni di Lena, la figlia di Ballinger, sfodera una vibrante performance attoriale che non ricordavo dai tempi di 'Amabili resti', che raggiunge il culmine nel fantastico e drammatico piano-sequenza in cui, commossa, traccia il resoconto del contrastato rapporto del genitore con lei e la madre; una ritrovata e quasi irriconoscibile Jane Fonda, nella parte della diva sboccata sul 'Viale del tramonto' che, nell'altra scena clou del film, sbatte in faccia a Mick il suo rifiuto per la parte nel suo film, che definisce 'una merda', come del resto gli ultimi suoi lavori. Pochi minuti bastano all'anziana attrice per una prova memorabile, della quale dai rumors si vocifera una candidatura ai prossimi Oscar.

Sono questi i momenti migliori del film, assieme alla straordinaria fotografia di Luca Bigazzi, alternati però a una miriade di altri che risultano verbosi ed altri ancora 'capitati lì per caso' come le apparizioni di un Maradona obeso (Roly Serrano), forse in qualità di nume tutelare del regista!

Irrisolto ma anch'esso in odor di molteplici premi.

Voto: 5,5.

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