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The Tribe

Regia di Myroslav Slaboshpytskkiy vedi scheda film

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La recensione su The Tribe

di Kurtisonic
8 stelle

scena

The Tribe (2014): scena

Non c’è molto da obiettare su quello che  la locandina del film riporta:”..il cinema non sarà più lo stesso..” ma piuttosto c’è da condividere ciò che ne consegue, cioè che nel cinema c’è anche dell’altro e non dovrebbe possibilmente essere sempre lo stesso.  Sfruttando la marchiatura di partecipazione alla scorsa edizione di Cannes, con un anno di ritardo ma con lucida perizia distributiva arriva sugli schermi nazionali un prodotto difficile e inusuale, che forse nelle intenzioni sfrutta la coincidente chiusura del festival del 2015 per giocarsi la sua capacità di richiamo. The tribe è soprattutto un’esperienza visiva, una performance sensoriale dell’assenza  giocata sulla pelle degli spettatori che potrebbe anche non piacere del tutto vista la sua particolarità recettiva. Sergey è un giovane sordomuto, deve integrarsi in un nuovo istituto speciale dove la comunità che lo compone vive una vita parallela al mondo scolastico, intrisa di violenza, soprusi e gesti criminali. Il film riproduce fedelmente quella realtà che vede i protagonisti esprimersi solo a gesti, con l’assenza totale del parlato, con   il sonoro che è quello del sottofondo della quotidianità inafferrabile dagli stessi soggetti sordomuti. La scommessa del regista ucraino è decisamente ardita, la sua unicità è ragguardevole, sa produrre un forte senso di sconcerto e di perdita di riferimenti per un pubblico che viene menomato come gli stessi protagonisti , tuttavia quest’ultimi al loro interno possono comunicare ciò che invece agli altri è precluso e che seguendo il racconto si dovranno ricostruire in modo molto parziale. La sostanza del film, che ricalca una crudele storia di ordinaria marginalità, al cui interno non verranno risparmiati particolari, si misura e si ricompone attraverso l’originalità di una forma che mette a nudo l’incomunicabilità umana dentro ad ogni gruppo di persone, la condizione più tragica di alcuni rispetto ad altri, l’ingannevole veste apparente dell’immagine che se lasciata a sé produce dei moltiplicatori di incomprensibilità e di primitivismo svuotata di ogni elaborazione sentimentale e interpretativa.  Non basterà l’assordante silenzio che guida i gesti disperati dei protagonisti, come non basterà la vana ricerca di un desiderio con l’illusione di un destino migliore, per mettere emotivamente in comunicazione la condizione di diversità fra pubblico e personaggi, imprigionati nelle proprie convinzioni nel vedere dell’altro al di fuori di sé. Quello che si ottiene da The tribe è certamente condizionato dalla sua forma estetica, ma è innegabile che l’effetto che rilascia sia del tutto spiazzante. Di fronte ad un film del tutto irripetibile, e che non potrebbe dare corso a rappresentazioni simili che apparirebbero come un’illecita copiatura, non si può che riconoscerne l’intuizione folgorante e il suo senso creativo estremo che riesce a smuovere l’immobilità di uno sguardo che pur facendo parte della base dell’osservazione cinematografica risulta sempre più standardizzato su canoni visivi che non contemplano variazioni di tono previa l’etichettatura di un’esclusività troppo ricercata. The tribe si sviluppa attraverso un racconto che percorre lo stile più attuale del cinema europeo autoriale, lo sguardo pessimistico del regista esordiente è pressoché totale, sperando che la ricerca formale estrema non si riveli in futuro , e glielo si augura, come una trappola nella quale imbrigliarsi a scapito di un cinema di forte denuncia sociale che in questo caso ha saputo clamorosamente mettere in evidenza.

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