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5 Centimetri al secondo

Regia di Makoto Shinkai vedi scheda film

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La recensione su 5 Centimetri al secondo

di Antisistema
4 stelle

Nel nuovo millennio, l'uso delle nuove tecnologie ha fatto sì che il cinema fosse alla portata di tutti, facendo sì che si approcciasse al media in questione anche gente di cui se ne poteva fare benissimo a meno. Uno dei registi ad aver tratto beneficio da ciò è stato Makoto Shinkai, il quale aveva realizzato in precedenza un film (l'orribile "Beyond the Clouds - The Promised Place"), un paio di corti (tra cui il discreto "La Voce delle Stelle") e un mediometraggio. La particolarità di questi prodotti è che sono interamente realizzati dal regista in questione, il quale si è occupato degli storyboard, della regia, sceneggiatura, animazioni e fotografia, dimostrando in tal modo tutta la sua versatilità come tecnico. Anche in "5 cm per Second" Shinkai decide di delegare quanto meno possibile agli altri, confezionando un prodotto estremamente personale, ma come i precedenti colmo di difetti.

La pellicola è divisa in tre episodi, che uniti insieme durano un'ora. Nel primo l'autore ci parla della relazione tra due ragazzini, Akari e Takaki, ed è incentrato sul viaggio di lui in treno per incontrare la ragazza per un'ultima volta, poiché in procinto di trasferirsi. Nel secondo spezzone Takaki è al liceo, ma pensa costantemente al suo lontano legame con Akari, mentre una sua compagna di classe, Sanae, vorrebbe confessare i sentimenti che prova per lui. Infine, nel terzo episodio, Takaki è oramai un adulto che, trasferitosi nuovamente, continua a pensare al suo amore coltivato durante l'adolescenza vero Akari.

I temi portanti di tutto il film sono l'amore a distanza che trascende il tempo, la lontananza, l'evoluzione e la solitudine. Sicuramente la poetica di Shinkai presenta concetti interessanti, ma per nulla nuovi in pellicole del genere, e purtroppo fallisce miseramente nell'amalgamarli con la storia. Nei tre episodi ci ritroviamo i protagonisti che imbastiscono copiosi quanto freddi monologhi sulla loro vita e condizione interiore, dando la sensazione allo spettatore dire trovarsi innanzi a un enorme flusso di coscienza. Shinkai mostra di avere delle carenze abbastanza gravi nell'uso della voice-over, visto che non solo finiscono con l'ammazzare la narrazione, ma risultano essere anche di una sconcertante povertà a livello contenutistico. L'autore avrebbe potuto eliminare la metà dei monologhi, lasciando al loro posto un profondo silenzio, il quale avrebbe messo in pieno risalto la potenza visiva delle immagini, con le quali sarebbe riuscito a comunicare immensamente di più rispetto a quanto si vede nel film, puntando al contempo anche a caratterizzare meglio i pochi personaggi. 
I protagonisti, infatti, sono tra i numerosi punti a sfavore dell'opera: Takaki è un ragazzo solitario fin dall'infanzia, il quale riesce a trovare conforto solo in Akari; quest'ultima è altrettanto sola e capace di star bene solo immergendosi nella lettura dei libri. Mentre il terzo incomodo, Sanae, è gestita come la solita ragazzina infatuatasi del protagonista di turno, senza che riesca a offrire nessun interessante spunto alla storia. Shinkai ci delinea personaggi freddi e asettici, che però alla fine si dimostrano solo dei meri manichini, portatori di un amore sin troppo idealizzato e realisticamente ben poco credibile nel suo svolgimento. Il regista fa di tutto per creare un contesto realistico in cui dar sfogo alla sua poetica, ma fallisce miseramente nel voler descrivere reazioni umane totalmente avulse alla realtà empirica, visto che al giorno d'oggi le distanze comunicative possono essere abbattute da un semplice cellulare o un'email inviata tramite PC. 

Se dal lato della narrazione e della sceneggiatura ci sono delle profonde pecche, ben poco si ha da ridire dal lato tecnico, dove Makoto Shinkai dimostra tutta la sua abilità tecnica. Come è solito fare, l'autore fa largo uso della colorazione digitale, creando, con un eccellente direttore della fotografia, delle scene molto suggestive. Il regista, per farci percepire la solitudine dei nostri protagonisti che camminano nel buio, ricorre all'espediente della luce del cellulare o di un lampione per illuminare un pezzettino di strada, creando così degli sfavillanti giochi di luci e ombre. Shinkai decide saggiamente di concedere ampio spazio alla sua poetica visiva, dando il meglio di sé nella costruzione dei paesaggi con dei fondali eccellenti, grazie ai quali crea scene dal forte impatto scenografico. Il regista è stato attento anche a delineare un contesto realistico, facendo uso anche di un eccellente computer grafica, riuscendo così a creare oggetti di un impressionante foto-realismo. L'autore con la sua fredda, quanto distaccata regia (anche se un po' troppo barocca certe volte), fa percepire allo spettatore di assistere alla vicenda da un punto esterno, e per questo decide di optare per poche inquadrature frontali in primo piano sui personaggi (che hanno un character design semplicistico e scarno), indugiando invece sull'ambiente che li circonda.

Concludendo, "5 cm per Second", si fa' portatore di una banale storia d'amore, carente nella sua costruzione, anti-realistica nel suo svolgimento, ma con un discreto finale che, seppur doveva essere strutturato meglio, risulta essere l'elemento più riuscito del film, poiché il regista punta sul silenzio accompagnato dalla malinconica canzone del compositore Yamazaki. 
Shinkai decide di sperimentare un modo più originale per raccontare il legame d'amore, attraverso continui flashback e un montaggio serrato atto a far capire il tempo che passa, ma usando anche delle voice over didascaliche e inutili, poiché uccidono il ritmo della narrazione, finendo con lo sfruttar male un elemento con cui voleva sicuramente elevare la storia. Alla fine è un prodotto tutto sommato consigliato: Shinkai tenta di sperimentare non centrando l'obiettivo, ma è sempre meglio fallire in parte che omologarsi alle decine di film d'animazione che escono ogni anno, e alla fine, mal che vada, lo spettatore capirà in che modo non bisogna realizzare un film "d'autore". 
Oggettivamente non è neanche lontanamente il tanto paventato capolavoro descrittoci da una critica alquanto ignorante e dai fanboy del regista: anzi, a costoro, per aumentare la loro scarsa cultura cinematografica, poiché esaltano l'operetta in questione, vale la pena consigliare un paio di pellicole appartenenti al genere romantico, ma presentanti i medesimi elementi della poetica di Shinkai, le quali però massacrano artisticamente questo filmetto; i due film in questione sono "I Ponti di Madison County" di Clint Eastwood (1995) ed "Her" di Spike Jonze (2014), la cui visione sarebbe consigliata anche al regista in questione, visto che purtroppo sono svariati film in cui ci propina tutti i suoi difetti, senza imparare mai dai suoi errori; sia mai che vedendole impari finalmente come si strutturino storie del genere.

 

 

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