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Stalker

Regia di Andrej Tarkovskij vedi scheda film

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vulgar hurricane

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Stalker

di vulgar hurricane
10 stelle

Ve lo giuro, ragazzi, dovete assolutamente vedere questo film. Ad ogni costo: vendete un rene, impegnate la dentiera di vostro nonno, sottraetelo alla videoteca di un conoscente od amico, fate qualsiasi cosa, ma non perdetevi per alcun motivo questo CAPOLAVORO. La vostra vita (così com’è stato per la mia), diventerà improvvisamente migliore, più ricca, più intensa.
Stalker è una pellicola difficile (probabilmente l’opera di SF più impegnativa di tutti i tempi, capace di “ridicolizzare” persino gli intricati- e proprio per questo bellissimi- 2001 e Solaris), e per carpirne tutti i segreti, i simbolismi, i significati remoti, occorreranno molte visioni. Ma ne vale davvero la pena, perché il grande messaggio che Tarkovskij arriva a consegnare allo spettatore è di una complessità e di una importanza inimmaginabili.
Per la realizzazione di questo film, il regista ha tratto ispirazione da un racconto dei fratelli Arkadij e Boris Strugackij, facendone il soggetto di una sconcertante vicenda narrata magnificamente per più di due ore e mezza.
La trama, apparentemente semplicissima, è tutta incentrata sull’esistenza della Zona, terra divenuta misteriosa, e proibita, dopo la caduta di un meteorite che sembra averla “contagiata” e trasformata nel profondo. Molti iniziano allora a temerLa, allontanandosi da essa, altrettanti, invece, trovano in Lei una ragione di vita, uno scopo per la propria esistenza, una speranza in grado di renderli felici: si vocifera, infatti, che lì si nasconda una “stanza dei desideri”, capace di esaudire le richieste più intime degli uomini che abbiano il coraggio di raggiungerla e varcarla. Ma l’impresa è tutt’altro che facile. Non soltanto perché la Zona è perennemente barricata e sorvegliata da guardie che hanno l’ordine di sparare a vista impedendone l’ accesso, ma anche in quanto quella stessa regione sembra vivere, pensare, costruendo trappole letali per ogni nuovo visitatore, sempre diverse dalle precedenti. Per questo, raggiungere la stanza dei desideri richiede necessariamente l’intervento degli “stalker”, ossia delle “guide furtive”, appunto, le quali non soltanto conoscono la Zona e sanno quindi come affrontare le sue continue metamorfosi, ma sono anche disposte ad assumersi le loro responsabilità circa la sorte propria ed altrui, e, soprattutto, sono pronte a credere fermamente in quello che fanno, e nelle doti “magiche” del territorio.
In questo modo, la pellicola ci descrive il viaggio intrapreso da uno stalker (protagonista di quella che appare come una triste, squallida vicenda familiare, narrata brevemente all’inizio del film), da uno scrittore (cinico e alcolizzato) e da uno scienziato (un professore frustrato dalla vana ricerca del Nobel) la cui meta finale consiste proprio nel raggiungimento, sperato, della fantomatica stanza dei desideri, quindi della felicità, della pienezza dell’esistenza. I tre si mettono in cammino, e, seppur con innumerevoli difficoltà, riescono a superare tutti gli sbarramenti e ad addentrarsi nella Zona. La rappresentazione che il regista ne fornisce, credo sia uno dei più alti momenti dell’intera storia cinematografica: una natura “contaminata” rigogliosa e verdeggiante; un cielo eternamente crepuscolare e brumoso; un paesaggio cosparso di mezzi militari distrutti e abbandonati, sui quali crescono nuovi germogli e virgulti, con la vita che si prende la sua rivincita sulla furia distruttiva degli uomini; e l’acqua, sempre protagonista nell’immaginario fantascientifico di Tarkovskij (pensiamo all’oceano pensante di Solaris…), che permea e attraversa con freschezza l’intera regione. Semplicemente eccezionale!
Prima di addentrarsi nel territorio, lo stalker (soprannominato “Occhio di lince”, chiaro nomignolo che ironizza sulla spiritualità- tipica da indiano- che lo lega a quell’ambiente misterioso) racconta del suo maestro, il “Porcospino”, morto suicida dopo che, entrando nella famigerata stanza desiderando di riportare in vita il fratello, ne uscì invece ricchissimo. Quindi i tre visitatori avanzano a rilento, gettando dinnanzi a loro alcuni bulloni metallici: un utile stratagemma per accertare la sicurezza del sentiero intrapreso. A fare strada non è tuttavia la guida, bensì, inaspettatamente, sono gli altri due personaggi (il senso di tutto ciò potrà essere pienamente compreso solo più tardi). In ogni caso, i primi inconvenienti non tardano a manifestarsi: dissentendo dalle raccomandazioni dello stalker, lo scrittore decide di seguire di testa propria il percorso diretto e più breve per arrivare alla meta finale, anziché seguire un diverso sentiero, più lungo, ma al contempo anche meno pericoloso. Decide perciò di proseguire da solo, e si allontana sotto lo sguardo preoccupato dei compagni. Compiuti pochi passi, una voce misteriosa lo ferma e lo fa tornare indietro: ma non si sa a chi essa appartenga, dato che i tre protagonisti si accusano vicendevolmente circa la sua origine. Senza venire a capo di nulla, il viaggio nonostante tutto continua. Più tardi, il professore sbadatamente dimentica indietro lo zaino, e decide di tornare a prenderlo, mentre invece la guida, allarmata, lo prega di non farlo, pena il rischio di rimanere ucciso dai trabocchetti della Zona (“nella Zona si può solo proseguire, mai tornare indietro”). Egli, incurante, decide di defilarsi silenziosamente, e quando gli altri se ne accorgono, sembra ormai troppo tardi per salvarlo. Decidono quindi di proseguire, inoltrandosi in una piccola grotta attraversata da un corso d’acqua. Una sorpresa, comunque, li attende all’uscita: lo scienziato è proprio lì, dinnanzi a loro, intatto, che mangia vorace un panino senza alcuna preoccupazione. Lo stalker e lo scrittore, esterrefatti, chiedono al professore come abbia fatto a precederli, mentre l’altro, invece, dice che sono stati loro stessi a tornare indietro a cercarlo. Nessuno ha più ragione degli altri, così i tre decidono infine di riposarsi. In realtà, l’occasione permette ad essi di discutere sul senso della vita, sulla gratuità o meno dell’arte, su ciò che si attendono di trovare oltre la soglia della stanza dei desideri: è questa una delle parti più intense e suggestive dell’intera pellicola.
Riprendendo successivamente il cammino, i protagonisti devono attraversare l’enorme tunnel detto “tritacarne”: anche in questa occasione, tuttavia, nonostante le indicazioni della guida, e i suoi ammonimenti sulla delicatezza e la pericolosità di tale, ulteriore passaggio, lo scrittore, primo della fila, avanza cocciutamente senza prestare alcuna attenzione ai consigli. Ancora una volta, al di là delle apparenze, nulla di letale accade. Ecco allora che, lentamente, inizia a farsi largo nell’animo dello spettatore una sotterranea verità: se l’intera pellicola sembra orientata al raggiungimento della miracolosa stanza dei desideri, in realtà lo svolgimento della vicenda procede contrariamente verso la smentita, la negazione della sua esistenza. Afferma lo stalker: “la Zona è forse un sistema molto complesso di trabocchetti, e sono tutti mortali. Non so cosa succeda qui, in assenza dell’uomo, ma appena arriva qualcuno, tutto si comincia a muovere…le vecchie trappole scompaiono, ne appaiono di nuove. Posti prima sicuri, diventano impraticabili. E il cammino si fa ora semplice e facile, ora intricato fino all’inverosimile. E’ la Zona. Forse a certi potrà sembrare capricciosa, ma in ogni momento è proprio come l’abbiamo creata noi, come il nostro stato d’animo. Non vi nascondo che ci sono stati casi in cui la gente è dovuta tornare indietro a mani vuote. Alcuni sono anche morti proprio sulla porta della stanza. Ma quello che succede non dipende dalla Zona, dipende da noi” “Fa passare i buoni, e ai cattivi taglia la testa?” domanda lo scrittore. “No, non lo so! A me sembra che faccia passare solo quelli che non hanno più nessuna speranza…non i cattivi o i buoni ma gli infelici. Ma anche il più infelice morirebbe subito, se non si comportasse come si deve!”. Eppure, nonostante la Zona venga descritta in toni così minacciosi, mai nulla di strano o pericoloso accade, neanche quando il professore e lo scrittore ignorano palesemente le raccomandazioni della guida. Tutto concorre perciò alla negazione delle credenze sulla magia della regione, e persino della stanza dei desideri.
Sennonché, i visitatori raggiungono davvero la meta finale, ma, proprio per quanto detto in precedenza, proprio per la perdita del loro entusiasmo, della loro speranza nel miracolo della Zona, in quel momento nessuno ha la forza, né la volontà, di varcare la soglia della stanza dei desideri. Anzi, emergono tutt’altri propositi, per nulla innocenti e genuini come quelli che ci si aspettava: lo scienziato, infatti, crede nell’esistenza della stanza dei desideri, e per questo, temendo che possa raggiungerla qualche malintenzionato, intende distruggerla con una bomba che ha portato con sé (ecco perchè, in precedenza, voleva a tutti i costi recuperare lo zaino smarrito che la conteneva). Lo scrittore, da parte sua, crede anche lui nell’esistenza della zona ma- ancora peggio- nega ad essa qualsiasi utilità e bontà, accusandola di sbattere in faccia agli uomini il loro “schifo interiore”, realizzando non quello che loro vorrebbero volere, bensì quello che vogliono davvero (basta ricordare l’esempio del Porcospino). Egli afferma: “ Non andrò nella tua stanza perché non voglio vomitare in faccia a nessuno lo schifo che ho dentro di me”. Lo stalker è sconcertato: cerca di fermare il professore dall’innescare l’esplosione, ma viene ripetutamente colpito dai pugni dello scrittore. “Perché me la vuole distruggere? E’ la sua speranza che vuole distruggere!”.
Infine, singhiozzando, sfoga tutto il suo rammarico, la sua amarezza, per la piega intrapresa dal corso degli eventi: “Non è restato nient’altro alla gente su questa terra. Questo è l’unico posto in cui si può venire quando non c’è più niente in cui sperare. Siete venuti anche voi! Perché volete distruggere la fede?”. Ma lo scrittore replica accusandolo:”Verme ipocrita! (…) Ormai ho imparato a conoscerti bene: te ne freghi tu della gente! Tu guadagni soldi sfruttando la nostra angoscia. Sì, la nostra angoscia. E non è neanche una questione di soldi: è perché qui tu te la godi! Sei signore e padrone: tu, verme pidocchioso, decidi chi deve vivere e chi deve morire. Sceglie, decide: finalmente sono riuscito a capire il motivo per cui voi stalker non entrate mai nella stanza. Ma perché? Qui vi ubriacate di potere, di segreti, di autorità! Quali altri desideri ci possono essere?”. “Non, non è vero, non è vero, lei si sbaglia! Uno stalker non può entrare nella stanza. Uno stalker, per se stesso, non può chiedere niente, niente! Ricordatevi del Porcospino! Sì, sono un verme, non ho combinato niente, e nemmeno qui posso fare niente. Perfino a mia moglie non sono riuscito a dare niente. Non ho amici, e nemmeno posso averne! Ma non toglietemi quello che è mio, mi hanno già tolto tutto là, dietro quel filo spinato! Tutto quello che ho è qui, qui, nella Zona…la mia felicità, la mia libertà, la mia dignità…tutto qui! Io porto qui solo quelli come me, gli infelici, i disperati, quelli che non hanno più niente in cui sperare. E io posso capirli, posso aiutarli. Nessuno può farlo, ma io, il “verme”, sì che posso! Eccomi, è tutto qui quello che ho, niente altro. E non voglio, non desidero niente altro!”.
I visitatori desistono dai loro intenti distruttivi, ma la spedizione fallisce comunque. Nessuno s’inoltra nella stanza per realizzare i suoi desideri più intimi (e, proprio per questo, temibili e temuti), così i tre tornano indietro, e si salutano nello stesso bar dove avevano organizzato inizialmente la spedizione. Lo stalker, tornato a casa con la moglie e la figlia, esausto, sembra come in prede ad una febbre che lo fa delirare e soffrire, che gli fa gridare la sua disperazione per la mancanza di fede degli uomini, e di chi non vuole entrare nella stanza. “Mio Dio, che gente! Tu non li hai visti, hanno gli occhi vuoti! Pensano soltanto a come tenere alto il loro prezzo, a come vendersi più cari, a farsi pagare tutto, anche ogni moto dell’anima! Pensano di avere una missione da compiere, una vocazione, e che si vive una sola volta…Una gente così può credere a qualcosa? Nessuno crede più (…), e la cosa peggiore è che a nessuno serve…non serve a nessuno quella stanza! E tutti i miei sforzi sono inutili!... Non voglio andarci più, con nessuno!”. La moglie, intanto, lo fa stendere sul letto, gli accarezza la testa con uno straccio bagnato, lo accudisce teneramente, cercando di rasserenarlo. Infine egli si addormenta. Allora la donna, allontanandosi lentamente dal marito, si accende una sigaretta e, rivolgendosi direttamente allo spettatore, afferma che lui, lo stalker, “non è normale”. L’epilogo sembra insomma profilarsi come il più amaro e desolante possibile: lo stalker, infatti, pare un povero pazzo perso in vaneggiamenti spirituali, e la stessa esistenza e magia della Zona sono messe inevitabilmente in discussione.
Ma le sorprese non sono finite, anzi, emergono in maniera lampante proprio nella BELLISSIMA conclusione: la figlia dell’uomo, seduta in casa, posa il libro che stava leggendo, e si mette a fissare intensamente un bicchiere. Quello inizia a muoversi da solo, percorre gradualmente tutta la lunghezza del tavolo, infine cade schiantandosi a terra. Sullo sfondo, insieme al passaggio di un treno, risuonano le note dell’”Inno alla gioia”, la 9° Sinfonia di Beethoven.

I temi trattati dal regista in questa IMMENSA opera, come si sarà intuito, sono molteplici, e tutti importantissimi. Certo, coglierne tutti i significati è davvero difficile (impensabile, per chi, come me, ha visto questo film una volta sola), ma in ogni caso, armandosi di calma e pazienza, è possibile se non altro sciogliere i nodi più intricati e trarre alcune prime, splendide conclusioni.
Chiaramente, il tema principale (ma, assolutamente, non quello esclusivo!) è dato dalla riflessione intrapresa dal regista sul senso della fede, e sulla bontà che essa ricopre in riferimento alla vita umana. Sotto questo punto di vista, la continua alternanza tra “bianco e nero” e sequenze “a colori” è uno dei passaggi più importanti per l’interpretazione del film: inizialmente, la pellicola comincia in b/n, mostrando una scena drammatica dell’infelice vita quotidiana dello stalker. Prosegue allo stesso modo anche durante la presentazione degli altri personaggi: lo scienziato dai mille propositi covati in silenzio nella sua apparentemente tranquilla, ma in realtà turbolenta, mente razionale, e lo scrittore, cinico e disincantato abitatore dell’epoca contemporanea. Personaggi adulti, frustrati, delusi dalla vita, con nulla da perdere e tutto da guadagnare. Per questo decidono di inoltrarsi nella Zona misteriosa, miracolosa, sacra (tre aggettivi-chiave di centrale importanza nell’immaginario tarkovskijano, ma sul loro significato torneremo attentamente più avanti): per trovare un motivo di esistere che ora non sembrano possedere.
Più tardi, nel momento in cui essi giungono finalmente nella Zona, e procedono al suo interno con enormi aspettative, al b/n si sostituisce una narrazione a colori: abbiamo visto tuttavia come il cammino percorso sembri configurarsi quale una continua, clamorosa smentita delle presunte doti magico-misteriose della regione colpita in passato da un meteorite. Nonostante i timori e gli avvertimenti dello stalker vengano infatti ripetutamente ignorati dai visitatori, non accade mai nulla di pericoloso o letale. Le credenze esistenti sul significato della Zona vengono così sconfessate l’una dopo l’altra. Tanto che, di fronte alla stanza dei desideri, lo scrittore e lo scienziato si rifiutano addirittura di entrarvi, rendendo il viaggio intrapreso del tutto inutile: il professore vorrebbe distruggere la stanza per evitare che qualcuno possa farne cattivo uso (ma non può essere malintenzionata anche questa sua stessa decisione, che pure sembra così “nobile”, visto che tanti credono e sperano felici nell’esistenza della Zona?), lo scrittore, invece, la accusa di torturare gli uomini. La guida è incredula, tenta inutilmente di reagire, viene picchiata, e infine piange sconfortata rivelando come la Zona sia tutto per la sua esistenza, l’esistenza di un infelice. Gli altri due lo ascoltano e si fermano, siedono con lui sotto la pioggia (sequenza di una bellezza imbarazzante), concordano intimamente con lo stalker, ma non hanno il coraggio di ammettere il fallimento della loro vita, che prima aveva uno scopo (la speranza della felicità, identificata con la stanza dei desideri), ma che poi ha perduto anche quest’ultima, residua illusione. L’impresa è fallita. Si riprende la strada di casa.
Con il ritorno alla vita quotidiana, riappare anche il b/n (tranne che nella breve sequenza in cui viene inquadrata la figlia dello stalker, preludio della magnifica conclusione). Nel bar i tre uomini si salutano: lo scrittore e lo scienziato, ammutoliti, hanno uno sguardo diverso che alla partenza, ma il senso di miseria, di pochezza d’animo, di frustrazione, rimangono esattamente gli stessi. La guida torna a casa spossata e sofferente. Vaneggia come un malato, si dispera per la mancanza di fede degli uomini. La moglie si allontana e, parlando direttamente allo spettatore, sembra confermare un pensiero inevitabilmente già balenato, seppur implicitamente, nella nostra testa: lo stalker non è “normale”.
Tuttavia l’epilogo a colori rovescia anche quest’ultima idea: la figlia dello stalker è dotata di poteri telecinetici. Un fenomeno apparentemente inspiegabile e miracoloso, in realtà semplicissimo: la bambina è la prova vivente che qualcosa di magico e misterioso, nella Zona, esisteva ed esiste davvero. Ancora oggi. Anche se non appare tale a chi, preso dalla negazione di qualsiasi fede e speranza (il cinismo dello scrittore), o dalla volontà di capire e controllare tutto piegandolo ai propri usi (l’intento distruttivo dello scienziato), al miracolo e al mistero, non intende, non vuole più far caso.
Ecco allora che emergono due importanti significati:
In primo luogo, in questo bellissimo finale che coinvolge, travolge e sconvolge lo spettatore, e tutte le credenze che egli aveva affastellato durante quel lungo percorso di smentita che è stato il viaggio dentro la Zona, Tarkovskij rende il suo messaggio ancora più forte e penetrante: non soltanto, in via generale, ha mostrato come la fede nel mistero e nel sacro (cioè nell’esistenza del soprannaturale, della Zona) siano ragioni veramente esistenti, seppur inaccessibili o comunque incomprensibili per chi tende ad ignorarle o a ridurle ad una spiegazione “fenomenico-razionale”. Ma, più in particolare, dopo aver fatto maturare questa posizione scettica anche nel pubblico, il regista mette lo spettatore dinnanzi alla sua stessa incredulità, denunciando la sua mancanza di fede. Così il film diventa un doppio percorso di formazione: per i personaggi del film, ma anche per Noi stessi.
In secondo luogo, constatando come l’uso del bianco e nero indichi le scene di vita quotidiana (deludente, frustrante, infelice), mentre quello delle sequenze a colori venga a riferirsi alla Zona (misteriosa, miracolosa, sacrale), allora emerge un’ulteriore rivelazione: se inizialmente, al momento della presentazione dei personaggi, emerge con evidenza la delusione per la loro infelice esistenza e la mancanza di una ragione di vita, successivamente, quando si inoltrano nella Zona, la sequenza viene raccontata a colori in quanto la vita stessa degli uomini acquista finalmente un senso: arrivare alla stanza dei desideri, alla pienezza dell’essere. Purtroppo l’esito è quello che conosciamo: la spedizione fallisce, per il fatto che i visitatori sono tutt’altro che pronti a fare i conti con se stessi, con il loro “schifo interiore”, passo che è tuttavia necessario per conquistare la felicità stessa. Così essi tornano indietro, e la scena torna in b/n: persa la credenza e la speranza nella stanza, è perduta nuovamente anche la vivacità, il “colore”, dell’esistenza. Ma la scena finale sovverte ogni precedente convinzione: c’è ancora spazio per il mistero, per il sacro, per ciò che può dare un significato alla nostra vita. Ecco allora il grande, incommensurabile messaggio: solo accettando il Miracolo, il Sacro, il Mistero, si può davvero dare un “colore” (un senso) all’esistenza, mentre la tendenza a spiegare tutto, a razionalizzare ogni cosa, riduce la complessità e la bellezza della Vita (nel film, la Zona). Tant’è che, nella sequenza in cui gli uomini rinunciano ad entrare nella stanza, il regista compie una grande CRITICA verso la “fenomenicità” del vivere contemporaneo, il quale, tutto propenso a capire, a classificare, a ridurre l’esistente entro restrittive categorie concettuali, impedisce non solo di apprezzare, appunto, la complessità e la superiorità di ciò che vive, ma addirittura ostacola gli uomini nel loro difficile percorso verso la felicità e la pienezza del proprio esistere. Questo vuol dire che allora bisogna credere, aver fede nel sacro, nel mistero, perché soltanto così possiamo vivere davvero pienamente e felicemente, ed essere perciò migliori. A questo punto, d’altronde, è necessario approfondire ulteriormente il significato che i tre termini-chiave utilizzati (Mistero, Miracolo, Sacro) assumono nell’immaginario filosofico di Tarkovskij (anche in riferimento al suo precedente capolavoro Solaris, dove il ruolo della Zona è svolto dall’Oceano Pensante del lontano pianeta).Riconoscere il carattere “sacro” della Vita vuol dire divenire consapevoli del fatto che il reale non può essere ridotto ad una mera spiegazione razionale. Significa, al contrario, riconoscere, e soprattutto rispettare, la molteplicità e la complessità dell’Esistente, la sua superiorità rispetto alle singole, parziali, transeunti componenti che ne sono alla base (tra le quali, noi stessi). La Vita Noumenica - il vero, unico fondamento dell’universo?- non può essere ricondotta ad una spiegazione Fenomenico-razionale. Sacralità, allora, significa superiorità, complessità, libertà, e non necessariamente costituisce un rimando alla religione (per quanto mi riguarda, anzi, NON lo è affatto), pur essendolo verso quel più ampio sentimento di spiritualità che pervade ogni cosa vivente. E il carattere sacro dell’Esistenza trova la sua diretta manifestazione nel Miracolo, che è quindi un evento superiore, complesso, libero, capace di spezzare la routine quotidiana, dunque per questo “fenomenicamente inspiegabile”(da qui il Mistero - l’inspiegabilità- del sacro, del miracolo, della Zona, di Solaris).

Certamente, parlare solamente di quest’unico aspetto del film risulta davvero riduttivo, perché molti altri splendidi temi vengono affrontati in questa grande opera d’arte attraverso i numerosi referenti simbolici disseminati nella narrazione. Ad esempio, è evidente una forte critica nei confronti dell’ordine costituito (non a caso Tarkovskij e il suo cinema sono stati considerati come i “campioni” della cultura del dissenso nell’ URSS comunista), in quanto, identificandolo negli sbarramenti militari posti lungo il perimetro della Zona per limitarne l’accesso, questo si presenta non come una saggia guida per il raggiungimento della felicità degli uomini (quale invece è lo stalker), bensì diventa, paradossalmente, un ostacolo alla felicità stessa. Sbarramenti che, perciò, solo la fede e la speranza permetteranno alla fine di varcare (come accade ai protagonisti del film, guidati dal miraggio della stanza dei desideri).
Bellissimo, oltre che geniale, è anche l’accostamento Vita-Zona: quest’ultima, descritta come un’insieme di drammatici trabocchetti, fa sì che i gli uomini possano “solamente proseguire, mai tornare indietro” (non è forse proprio così la nostra esistenza?). La Zona “in ogni momento è proprio come l’abbiamo creata noi, come il nostro stato d’animo”. E in essa è sì possibile rintracciare delle “guide”, dei modelli, che ci permettano di affrontare e risolvere questa continua sfida sino a condurci verso la felicità (lo stalker, la stanza dei desideri), ma in ogni caso il primo passo tocca sempre a noi stessi (per questo, ad avanzare per primi sono lo scienziato e lo scrittore, non lo stalker stesso!), così come nostra deve essere anche la decisione fondamentale, quella di creder fortemente in ciò facciamo, in ciò che costruiamo, nel carattere misterioso, miracoloso, e sacro, di tutto quello che circonda e ci riguarda, direttamente e indirettamente (al contrario di quello che succede ai protagonisti della pellicola).
Come in Andreij Rublev, inoltre, il regista inserisce una intensa riflessione sulla natura dell’Arte, e sul suo carattere più o meno gratuito: nel momento in cui i visitatori decidono di riposarsi, si svolge un veloce, ma intenso, scambio di battute a proposito. Sentenzia lo scrittore: “L’uomo scrive soltanto perché si tormenta, perché dubita. E perché deve continuamente dimostrare, a se stesso e agli altri, che davvero vale qualcosa. Ma se sapessi con certezza di essere un genio, perché dovrei continuare a scrivere?”. Più tardi, interviene lo stalker: “Prima parlavate del senso della nostra vita, del disinteresse dell’arte. Ecco per, esempio, la musica: la musica è legata ben poco alla realtà, o meglio, anche se è legata, lo è senza ideologie, meccanicamente, come un suono vuoto, senza associazioni. E tuttavia la musica, per un qualche miracolo, penetra l’animo umano. Cosa risuona in noi, in risposta al rumore elevato ad armonia? E come si trasforma per noi nella fonte di un immenso piacere, e unisce e commuove? A cosa serve questo, e, soprattutto, a chi? Risponderete: a nessuno, e a nulla. Così, disinteressatamente. Ma no, è improbabile. Perché…perché tutto, in fin dei conti ha un senso. Un senso, e una ragione”.
Come dimenticare, inoltre, la splendida metafora dell’”acqua”, che riassume uno dei momenti più importanti e suggestivi dell’intera pellicola (“Che si avverino i loro desideri. Che possano crederci. E che possano ridere delle loro passioni. Infatti ciò che chiamiamo passione, in realtà, non è energia spirituale, ma solo attrito tra l’animo e il mondo esterno. E, soprattutto, che possano credere in se stessi. E che diventino indifesi come bambini: perché la debolezza è potenza, e la forza, è niente. Quando l’uomo nasce è debole e duttile. Quando muore, è forte e rigido, così come l’albero: mentre cresce è tenero e flessibile, e quando è duro e secco, muore. Rigidità e forza, sono compagni della morte. Debolezza e flessibilità esprimono la freschezza dell’esistenza. CIO CHE SI E’ IRRIGIDITO, NON VINCERA’”. Parole che si commentano da sole…).
Infine, mi piacerebbe fare un’ultima precisazione sulla concezione tarkovskijana del cinema di fantascienza. Molto (troppo) spesso ho sentito dire che Stalker e Solaris non possono essere definiti film di fantascienza a tutti gli effetti se non in modo riduttivo, in quanto trascendono i classici pilastri di tale genere. Questo, da una parte, è senz’altro vero, tuttavia ritengo che, affermando ciò, non si riesca poi ad inquadrare efficacemente la grande RIVOLUZIONE CONCETTUALE che il regista propone. Mi spiego: la fantascienza “tradizionale” (ossia quella precedente Tarkovskij, compreso l’eterno “2001 Odissea nello spazio”, che pure anticipa, seppure implicitamente, il corso evolutivo qui descritto) inevitabilmente è sempre stata volta, e ancora oggi nella maggior parte dei casi continua ad esserlo, a rappresentare il momento dell’incontro, anzi, spesso dello scontro, tra l’uomo e l’ambiente circostante (sotto qualsiasi forma questo si presentasse: alieni, dischi volanti, disastri ecologici…), configurandosi come un “ritratto dello spazio”. Con Tarkovskij, invece, accade qualcosa di completamente diverso: la fantascienza diventa “ritratto della coscienza”, facendo acquistare importanza a temi innovativi ed originali prima del tutto esclusi da ogni produzione cinematografica di questo tipo, quali, appunto, la riflessione sul significato della vita, della fede, dell’arte. In questo modo, rompendo ogni schema e tradizione, viene superata la tremenda scissione tra IO e MONDO, facendo sì che spazio e coscienza si riuniscano diventando il nuovo campo d’indagine complessivo dell’uomo. Ecco allora che, proprio con Tarkovskij, la fantascienza va oltre questo dualismo, arricchendosi e “purificandosi”: essa diventa la DIMENSIONE DELL’INTEGRITA’ UMANA, ossia, diventa veramente se stessa.


A questo punto, insomma, non posso fare a meno di ringraziare Tarkovskij per questo suo splendido dono: in fondo, se l’umanità ha sperato, spera ancor oggi, e spererà anche in futuro, di realizzare un mondo migliore in cui Tutti, indipendentemente da tutto, potranno vivere serenamente e intensamente, beh, in fondo, il merito è anche, e soprattutto, degli uomini come Lui. Ave a te, mio numero UNO!

Sulla trama

Apparentemente semplicissima, in realtà intensa e profonda come poche altre. Complimenti!

Sulla colonna sonora

Fantastica: una perfetta commistione di musica classica ed elettronica.

Cosa cambierei

Assolutamente nulla. Anzi, a ripensarci bene, cambierei la diffusione di quest'opera d'arte: la conoscono in pochissimi. E questo mi è insopportabile.

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