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L'asso nella manica

Regia di Billy Wilder vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su L'asso nella manica

di alan smithee
8 stelle

Uno sprezzante e cinico giornalista di nome Charles Tatum, licenziato da prestigiosi quotidiani nazionali a causa della sua incontrollata tendenza ad abusare di alcol e donne, trova un posto in un piccolo giornale locale di Albunquerque, accettando una paga al minimo sindacale che gli consenta di ricominciare tutto daccapo.

La sua mira rimane tuttavia sempre lo scoop in grado di riabilitarlo nella serie A dei cronisti di fama, e la sua innata caccia alla notizia piccante lo induce a soffermarsi su un caso di un minatore rimasto intrappolato presso una cava a ridosso di un cimitero indiano incastonato nella roccia.

Con la sua astuzia e verve, l'uomo fa sì che l'attenzione dei curiosi si spinga oltre la soglia locale, e quando la notizia diviene di dominio nazionale, l'uomo persuade il direttore dei lavori, impegnato nell'opera di sbancamento dei detriti della frana, a sospendere le operazioni per affrontare l'operazione di salvataggio dall'alto, tramite un lavoro di trivella più complicato e lungo, in grado di permettergli di lucrare maggiormente su una notizia in grado di divenire un caso nazionale.

Il cinismo del giornalista sarà solo pari a quello della moglie della vittima, sciagurata donna approfittatrice e in cerca di fuga da quel posto dimenticato dalla civiltà.

Poco dopo l'esemplare Viale del Tramonto, e prima di Stalag 17 e Sabrina, un versatile Billy Wilder ai suoi massimi livelli di arte ed ispirazione, dirige un'opera che è diventata una vera e propria invettiva contro lo strapotere deviato e destabilizzante dei media, soggetto alla fame di potere e di fama di un gruppo di stolti senza scrupoli in grado di manipolare l'informazione per giocare e lucrare sulla ingenuità della massa, riducendola ad un gregge insensibile in grado di assecondare le esigenze di fama, gloria e denaro facile di pochi scaltri ed insensibili, a scapito di chi soffre e finisce per immolarsi, vittima della propria inesorabile sfortuna e disgrazia.

Ne scaturisce uno spaccato lucido, oltre che sprezzante e duro, di una società contemporanea soffocata dal cinismo irriducibile ed ossessionante di pochi che finisce per condizionare la massa inerte e succube, impedendole in tal modo di mantenere quell'onestà morale e quella diligenza comportamentale "del buon padre di famiglia", dispersa a causa di un abbaglio collettivo in nome di un inebriante ricorsa al facile successo e al lucro assicurato, tipica conseguenza frutto di un pensiero capitalistico deviato e senza scrupolo alcuno.

Nel ruolo dello spietato, cinico protagonista, che lascia il posto - ma solo quando è ormai troppo tardi - all'uomo sensibile e colmo di sensi di colpa rimasto fino a quel momento calpestato e deriso all'interno del suo carattere inquieto e sprezzante, uno scattante Kirk Douglas trentacinquenne contribuisce a rendere esemplare un personaggio solo apparentemente monodimensionale, in realtà complesso e sottilmente combattuto, reso squalo dalle circostanze, ma in grado di maturare un pentimento tardivo tipico della stoltezza umana risalente agli albori della società e presente più che mai come una costante perennemente di moda sino ai giorni nostri.      

 

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