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L'asso nella manica

Regia di Billy Wilder vedi scheda film

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FABIO1971

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'asso nella manica

di FABIO1971
8 stelle

William Floyd Collins, leggendario esploratore delle miniere del Kentucky, tra le più suggestive attrazioni turistiche dello stato, morì nel 1925 tragicamente intrappolato in una caverna a 17 metri di profondità: per quattro giorni i soccorsi, che procedevano a rilento per il pericolo di cedimenti durante gli scavi, riuscirono a far pervenire a Collins acqua e viveri, finchè un crollo improvviso nella miniera bloccò irrimediabilmente il passaggio. L'uomo riuscì a resistere per due settimane prima di cedere alla fame e agli stenti: il suo cadavere venne recuperato solo due mesi dopo, mentre il funerale venne celebrato fuori dalla miniera. Il reporter William Burke Miller, che si occupò della vicenda riuscendo anche ad intervistare Collins, trasmise i suoi resoconti al suo giornale (il Courier-Journal di Louisville), che li telegrafò a tutti i quotidiani nazionali e ai cronisti delle radio: vincerà il premio Pulitzer, attirando, però, frotte di turisti e curiosi sul luogo. All'epoca della stesura del copione di L'asso nella manica, firmato da Wilder insieme a Lesser Samuels e all'esordiente Walter Newman (script che si guadagnerà una nomination all'Oscar, anche se il premio verrà poi assegnato alla sceneggiatura di Un americano a Parigi), i diritti di sfruttamento cinematografici della vicenda di William Floyd Collins appartanevano all'attore Victor Desny, che appena venne a conoscenza dell'argomento del film citò in tribunale Wilder per violazione del copyright: il regista fece ricorso, ma nel 1956 la Corte Suprema della California darà infine ragione all'attore. Ma questa non fu l'unica grana per Wilder: dopo l'uscita nelle sale di Ace in the Hole, infatti, la Paramount, spaventata dalle stroncature ricevute dal film e dai miseri incassi, rititolò il film in The Big Carnival senza il permesso del regista e si riprese i soldi persi prelevandoli dagli incassi più cospicui del successivo Stalag 17. Chuck Tatum (Kirk Douglas) è un giornalista metropolitano in disgrazia: entra in scena a bordo di una macchina trainata da un carro attrezzi, mentre giunge ad Albuquerque, in New Mexico, dove accetta di lavorare nel quotidiano locale sperando in un grosso colpo che ne risollevi le sorti finanziarie e professionali. Quando un uomo, Leo (Richard Benedict), rimane intrappolato in una caverna, Tatum, cinico e sprezzante, ne approfitta per scatenare un pandemonio mediatico ("è questo che vuole il pubblico ed è questo che gli daremo"), riuscendo a ritardare gli scavi in modo da far accorrere sul luogo più gente possibile: ma la situazione precipita quando Leo si ammala e i soccorsi, che procedono a rilento, rischiano di non raggiungerlo in tempo. È Tatum ,allora, a scendere direttamente in campo, perchè "quel ragazzo sta morendo e questo non fa il mio gioco, perchè quando inventi un grande servizio giornalistico devi dargli un commovente finale: quando hai colpito il pubblico a morte devi poi svegliarlo dolcemente, non voglio lasciargli un morto sulle braccia": è la raggelante dichiarazione di etica professionale di Tatum, ma Wilder si rivela ancora più crudele quando osserva il comportamento di Lorraine (Jan Sterling), la moglie dello sventurato Leo, che si sta già organizzando una nuova vita senza di lui (mentre è proprio a lei che Leo dedica le sue ultime parole, rivelando a Tatum che le ha nascosto in casa, per farle una sorpresa, il regalo per l'anniversario di nozze). Poi, dopo le giostre e i baracconi, le decine di migliaia di curiosi giunti sul luogo (con tanto di famigliole in vacanza in tenda e roulotte), il tam tam martellante dell'opinione pubblica, il dramma si trasforma in tragedia: e, nello sconcerto generale, non basteranno le lacrime sul viso di Tatum ad assolverlo dalle sue colpe e dalla sua gretta meschinità, tanto che la sua "conversione" al buon senso e la sua successiva indignazione non avranno neanche più un pubblico interessato ad ascoltarle: il cerchio si chiude e Tatum perderà tutto, dalla limpidezza morale al suo lavoro, fino alla sua stessa vita. Dopo lo strepitoso Viale del tramonto, Wilder confeziona un apologo doloroso e spietato sulla manipolazione mediatica,  violento e straziante nel bersagliare con indignazione i sensazionalismi dell'informazione, la corsa al successo e alla ricchezza, il fallimento sociale delle istituzioni, dalla famiglia al matrimonio. Niente e nessuno viene risparmiato: l'occhio implacabile di Wilder, infatti, osserva, registra, sottolinea, grida accorato il proprio sdegno, accanendosi metaforicamente proprio con il suo anti-eroe (un Douglas stratosferico), a cui nel finale lascia soltanto la compagnia dello spettatore, che assiste, davanti al suo cadavere, alla punizione dell'ipocrisia, della falsità, dell'arrivismo. E si interroga se questo L'asso nella manica non sia uno straordinario capolavoro di cinema utopistico. Wilder è un regista crudele...

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