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The Fighters - Addestramento di vita

Regia di Thomas Cailley vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Fighters - Addestramento di vita

di ed wood
7 stelle

Salutata con favore dalla critica, l’opera prima di Cailley brilla anzitutto per l’originalità del soggetto. Quella che, in fondo, è la semplice storia dell’attrazione di un ragazzo “normale” verso una ragazza “speciale” si incrocia con un discorso antropologico sul rapporto (conflittuale o collaborativo) dell’essere umano coi suoi simili e con la Natura (affascinante e ostile). C’è tanta, troppa carne al fuoco: basti pensare che un tema forte come il lutto familiare viene presto archiviato come se niente fosse, mentre temi d’attualità come il (presunto) declino del Capitalismo vengono sciorinati fra un boccone e l’altro. Ma la sovrabbondanza di idee e spunti, spesso disordinati, è una caratteristica dei film d’esordio: si ha qualcosa da dire, ma non si sa ancora bene su cosa concentrarsi.

 

Il problema di “The Fighters”, più che nelle ambizioni spesso disattese del copione, risiede semmai nella difettosa definizione psicologica dei due protagonisti. Anzitutto, è evidente che il personaggio di Madeleine sia una specie di alieno, una figura quasi macchiettistica nella sua seriosa intransigenza e nel suo ostinato individualismo, che viene calata in un contesto sostanzialmente realista (la bisboccia dei suoi coetanei, l’addestramento militare duro ma non troppo), senza che però il regista riesca ad instaurare una fertile dialettica fra i due livelli. Riguardo ad Arnaud, invece, è altrettanto lampante che la sua svolta attitudinale (da “zerbino” a leader della battaglia dei sessi) risulti fin troppo repentina e forzata. Incerto fra diverse strade da seguire (lo scandaglio psicologico, lo studio dei comportamenti e dell’ambiente, la metafora sociologica), Cailley annaspa in un cocktail di sapori che si annullano a vicenda.

 

In particolare, l’ultima mezzora, quella che avrebbe dovuto dare una sterzata al film verso un senso compiuto, è quella più deludente. I due giovani rimangono da soli, si annoiano, fanno l’amore, rischiano la vita: Cailley li osserva, ma è come se non riuscisse a cogliere i loro sentimenti, le loro motivazioni. Dialoghi sentenziosi o stranianti, derive ironiche, silenzi eloquenti vengono utilizzati dal regista come vie di fuga dall’empasse espressiva, ma non sempre si rivelano scelte opportune. Che cosa rimane della loro vicenda? Forse lei ha imparato che, da soli, non si sopravvive e che l’Altro può salvarti la vita; lui invece, da timido e pavido ragazzo di provincia, è finalmente diventato un uomo. Tutto qua? Probabilmente c’è dell’altro, ma Cailley non ha trovato il modo di dircelo.

 

Resta comunque una visione piacevolissima: il regista, pur non inventando assolutamente niente sul piano stilistico, possiede brillantezza e senso del ritmo, rendendo gradevoli anche gli elementi più corrivi e fastidiosi del cinema adolescenziale (il giro in motocicletta, l’immancabile serata in discoteca) e scegliendo un piglio svelto e anti-retorico. Diamo credito a questo giovane cineasta. Piuttosto convenzionale la sequenza erotica, più suggestiva ed inquietante quella dell’incendio (quasi evocativa dei film catastrofici americani), semplicemente favolosa Adèle Haenel.

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