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Il segreto del suo volto

Regia di Christian Petzold vedi scheda film

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La recensione su Il segreto del suo volto

di logos
8 stelle

Troviamo una donna ebrea, Nelly, completamente stremata, scampata alla morte dal campo di concentramento nazista, senza più punti di riferimento, senza nemmeno il proprio volto, completamente sfigurato, ricoperto di bende, per una sua eventuale ricostruzione. Sprovvista di foto, i medici optano per una ricostruzione nuova, anche per motivi psicologici, in modo cioè da indurre la vittima a ricominciare un’esistenza libera dal territorio tedesco, possibilmente in Israele, per contribuire, con la sua cospicua eredità economica, alla nascita di un nuovo mondo per i sopravvissuti come lei, così come del resto sostiene la sua amica Lene, anche lei ebrea e desiderosa di andarsene dall’Europa e dalla Germania, dove i nemici di ieri sono i falsi amici di ogg.

Ma Nelly, al di là di ogni aspettativa, vuole essere come prima, con lo stesso volto, perché il suo unico desiderio è quello di rincontrare il suo marito tedesco musicista, dal quale venne strappata dai nazisti. Nelly cercherà dunque di incontrare il marito Johnny, e ci riuscirà. Ma attraverso un amabile gioco di sottrazioni, si innesca tra di loro un confronto in cui non si riesce a comprendere fino in fondo se Johnny non possa o non voglia riconoscere Nelly, così come la Germania post nazista nei confronti del suo recente passato.

Però Johnny non può negare che nelle movenze, nella grafia, nel linguaggio non verbale, Nelly, che intanto si spaccia per un'altra donna, non  rassomigli a Nelly. E allora gli viene l’idea di far fingere a Nelly che lei sia davvero Nelly, scampata dal lager, e non defunta come invece si credeva. In questo modo Johnny, attraverso questa simulazione potrà intascare l’eredità della moglie, lasciandone una parte a Nelly che però, non essendo per lui la vera Nelly, cioè sua moglie, dovrà solo prestarsi al gioco della simulazione, con il dovuto compenso. Nelly così si ritroverà nella condizione pirandelliana di dover reinterpretare se stessa, rinascere una seconda volta, ma al tempo stesso morire per una seconda volta, perché, in questo gioco di simulazione, Nelly da una parte ha la possibilità di stare vicino a suo marito ma dall’altra di scoprire, spacciandosi appunto per un'altra donna, che suo marito in realtà non la amava come lei pensava, e in più pensa solo all’eredità che può ottenere dalla simulazione.

(Ci sarebbe molto da dire su questi giochi di identità. Per semplificare possiamo dire che abbiamo una Nelly che, fingendo di essere un'altra donna, ha l'occasione di comprendere che l'amore di suo marito non era poi così profondo come lei stessa tendeva a idealizzare. Inoltre, vedendo la realtà dall'esterno, attraverso la finzione, è anche in grado di comprendere che tutto questo potrebbe avere le sue ragioni, e che forse col tempo possono essere riconsiderate per un nuovo inizio insieme. Sono riflessioni comunque dolorose, che Nelly percorre dentro di sè, e che nell'economia del film non vengono affatto verbalizzate, ma edotte da tutti quei sengali della comunicazione interpersonale che dicono molto di più delle parole. Ma in ciò consiste la bravura della regia e degli attori). 

Per restare nella trama, si aggiunga che dall’amica Lene viene a scoprire che fu proprio il marito a dire ai nazisti dove Nelly si era rifugiata prima della sua deportazione. E' una verità amara, riferita a Nelly da una Lene delusa e amareggiata. Non è possibile riavvicinarsi a un delatore, dice Lene a Nelly, anzi Lene si sarebbe aspettata che quel riavvicinamento fosse un modo, per quanto disperato, di ucciderlo, e in ciò, almeno, la avrebbe compresa. Ma Nelly a quanto pare vuole andare fino in fondo, capire se e perché Johnny sia stato costretto a fare la spia, e così continua la simulazione concordata con il  marito, che continua a non riconoscerla (forse), a farle fare le prove perchè assomigli sempre più a se stessa o a quel che Johnny pensa che Nelly fosse, in modo che possa presentarla agli amici, al mondo pubblico e ottenere l’eredità.

Il colpo di grazia arriva con il suicidio di Lene, la quale lascia una lettera su cui afferma che infine si sente più vicina ai morti che sono davvero morti che ai vivi che fingono di essere vivi come se il passato nazista sia stato solo una tragedia da dimenticare, e in più, con tato di atto documentale, lascia a Nelly l’informazione che il suo Johnny, prima di essere arrestata e deportata, aveva già sottoscritto il divorzio.

 

Nelly dunque è la donna che visse due volte, ma che al tempo stesso muore due volte, perché oramai è consapevole del fatto che quell’uomo, che tanto ha amato, è solo un uomo qualunque, un tedesco come tanti altri tedeschi di allora, che non volevano sapere nulla della shoah, e per vigliaccheria e sopravvivenza hanno fatto quel che potevano e non dovevano fare, cioè prendere le distanze dagli ebrei, guardare dall'altra parte, togliere il saluto e fare finta di niente di fronte al loro trattamento disumano da parte dei nazi.

 

Ma a questo punto sorgono spontanee le domande: come può Nelly fare finta di niente, come se nulla fosse accaduto, come vorrebbero i tedeschi appena dopo il crollo del nazismo? Che cosa la spinge a confrontarsi con un popolo che non ha mosso un dito quando è stata arrestata? Crede forse che tutto possa ritornare come prima, facendo finta di niente? La bellezza del film consiste nel lasciare lo spettatore sospeso in queste domande, fino al colpo finale, davvero incredibile e straziante e di cui non dico nulla.

 

Emerge in questa storia degli equivoci qualcosa di più universale che coinvolge un’intera nazione e la sua identità, quella del popolo tedesco, che non chiede, fa finta di niente, non riconosce, e di conseguenza non è in grado di porre se stesso a un esame che lo ponga nel dovere di assumersi la colpa della banalità del male. E sarà proprio Nelly, portando fino in fondo la parte che le è stata assegnata, cioè di essere Nelly per finta, a mettere il suo uomo e i suoi amici (leggi Germania) di fronte al proprio nulla.

 

Se non fosse stato per le recensioni su questo sito, in particolare quella di Bufera, questo film mi sarebbe fuggito. Sono contento di averlo visto, perché abbiamo a che fare con un regista (che haimé non conoscevo) che riesce a mettere in risalto tutto il dramma del popolo tedesco dopo la disfatta nazista, attraverso una storia d’amore alla deriva, giocata per sottrazioni, con linguaggi soprattutto non verbali, ma con un’attenta distribuzione dei segni, che proprio per il loro minimalismo accentuano l’inenarrabile esistenziale e sociale, senza demonizzare e senza levigare. Il risultato che ne emerge è davvero originale, per le riflessioni amare e struggenti che ne scaturiscono, libere dagli stereotipi che spesso nascondo piuttosto che svelare.

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