Regia di Richard Glatzer, Wash Westmoreland vedi scheda film
L'Alzheimer è una malattia devastante che in fondo tutti conoscono ma di cui poco si conosce.
L'arte del perdere, come citato dalla stessa protagonista alla conferenza sulla malattia, è il percorso inesorabile verso la morte. Non una morte senso stretto e fisico, ma la morte della persona che si conosceva e che si amava.
La prima parte è molto ben riuscita perchè grazie all'ottima interpretazione della Moore si riesce a rendere l'idea dell'iniziale smarrimento, le perdite di memoria, la regressione della sua capacità oratoria, coadiuvate anche da buone scelte di regia, nel far vedere sfocato il mondo che circonda Alice, come un qualcosa che le sta sfuggendo e decretandone il primo distacco dalla propria realtà.
La sceneggiatura però glissa sugli aspetti più deleteri della malattia e soprattutto lascia molto in disparte il rapporto dei familiari con la malattia di Alice, ad esclusione della figlia minore Lydia, con cui Alice ha sicuramente un rapporto privilegiato rispetto agli altri congiunti. Qui secondo me il film è troppo timido, i personaggi di Baldwin e la Bosworth rimangono sacrificati e Parish sostanzialmente inutile. La Moore è brava, come detto, però personalmente in quell'anno l'avrei candidata all'oscar per Maps of the stars. Non solo, ma consegnandole direttamente la statuetta.
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