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Still Alice

Regia di Richard Glatzer, Wash Westmoreland vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Still Alice

di miss brown
6 stelle

La malattia di Alzheimer - dal nome del neurologo tedesco che la diagnosticò per la prima volta nel 1901 - è la forma più comune di demenza degenerativa. Di origine ancora non del tutto chiara, è un processo che danneggia progressivamente le cellule cerebrali, rendendo a poco a poco l'individuo che ne è affetto incapace di una vita normale, provocandone alla fine la morte. Colpisce normalmente dopo i 65 anni e tra i primi sintomi ci sono l'incapacità di acquisire nuovi ricordi e la difficoltà nel ricordare eventi recenti. Esistono farmaci che possono alleviarne almeno in parte i sintomi, ma è incurabile.

Alice ha 50 anni, una cattedra di linguistica alla Columbia University, un marito medico affermato e dopo trent'anni ancora innamoratissimo, tre figli ormai adulti che non danno grossi problemi. Di fronte ad improvvise, inspiegabili amnesie durante le lezioni, episodi di afasia, brevi mancamenti, strani errori mai fatti prima; dopo essersi persa, con grande angoscia, facendo jogging nel quartiere dove vive da tanti anni, si convince di avere un tumore al cervello. Un neurologo la sottopone ad alcuni test e la diagnosi è ancora peggiore: morbo di Alzheimer, purtroppo nella sua rara forma precoce e nella ancor più rara forma ereditaria - e infatti anche una delle figlie risulta portatrice del maledetto gene. Comincia così la lotta di Alice contro la malattia; sostenuta dall'amore della famiglia non smette mai di combattere, anche se è consapevole che ne uscirà sconfitta.

Un film nato sotto una cattiva stella: nel 2011, quando il libro da cui trarre il copione fu proposto ai registi/sceneggiatori (coppia sul lavoro e nella vita) West Westmoreland e Richard Glatzer, a quest'ultimo era stata da poco diagnosticata la SLA. Eppure ha seguito caparbiamente tutta la produzione e si è recato sul set ogni giorno, anche se alla fine delle riprese riusciva ormai a muovere solo un dito di una mano. Ma forse questa disgraziata coincidenza ha fatto in modo che STILL ALICE - che potremmo tradurre "Alice è ancora qui" - sia migliore di tanti desease movie che appaiono periodicamente al cinema e infestano quotidianamente i pomeriggi televisivi. Con grande lucidità e senza facili pietismi ci fa seguire tutto l'iter della malattia, l'iniziale disperazione seguita non dalla rassegnazione ma dalla volontà di tenere duro, fino alla fine.

Ai tempi delle grandi dive di Hollywood sarebbe stato un mélo e il ruolo della protagonista avrebbe fatto gola a Bette Davis e Joan Crawford. Oggi in poche sarebbero in grado di affrontarlo, solo altrettanto grandi attrici, del calibro di Frances McNormand o Tilda Swinton, e infatti chi la fa da padrona è una strepitosa Julianne Moore: tutto il film ruota intorno a lei e all'ostinata dolcezza dei suoi sguardi. Ha decisamente meritato il recente Golden Globe e sembra bene avviata sulla strada dell'Oscar. Accanto a lei un misurato Alec Baldwin - il marito devoto costretto a rinunciare a un'importante promozione per starle vicino negli ultimi mesi di lucidità. Kirsten Stewart è perfetta nel ruolo dell'aspirante attrice che per amore della madre accantona per un po' i suoi sogni di gloria: la conversazione madre-figlia verso la fine è la migliore del film.

La sceneggiatura è commovente, ma sobria e mai ricattatoria, piuttosto convenzionale ma senza traccia di spettacolarizzazione del dolore. Quello che difetta è però il realismo: la protagonista appartiene a una famiglia più che benestante, non avendo problemi economici dispone di un'assistenza medica di prim'ordine e di una badante fissa; prima dell'aggravamento Alice visita un hospice per pazienti terminali che pare un hotel a 5 stelle, frequenta un gruppo d'aiuto dove i malati sembrano fotomodelli. La situazione per l'americano medio, come per l'italiano o l'europeo in generale, è in realtà molto diversa: per una malattia incurabile e fortemente invalidante, che sconvolge ogni anno la vita di migliaia di persone e delle intere loro famiglie, spesso lasciate sole nel lavoro di cura, viene stanziata una risibile quantità di fondi per l'assistenza, mentre la ricerca farmacologica riceve nemmeno il 10% dei fondi per la ricerca sul cancro. Siamo davanti all'ennesima, atroce lotta fra disperati: ha la precedenza salvare la vita ai più giovani o migliorare la qualità della vita dei più vecchi? E' un tema, questo, totalmente estraneo alla filosofia degli autori del film, che per paura di impantanarsi preferiscono uno stile quasi asettico: avete visto AMOUR? Ecco, niente a che fare.

Visione consigliata esclusivamente agli innamorati di Julianne Moore e ai cuori di pietra, le anime delicate consumeranno interi pacchetti di kleenex.



 

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