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I ponti di Sarajevo

Regia di Jean-Luc Godard, Ursula Meier, Sergei Loznitsa, Cristi Puiu, Aida Begic, Angela Schanelec, Isild Le Besco, Kamen Kalev, Vincenzo Marra, Leonardo Di Costanzo, Vladimir Perisic, Marc Recha, Teresa Villaverde vedi scheda film

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La recensione su I ponti di Sarajevo

di laulilla
8 stelle

Presentato nel 2014 al Festival di Cannes, nasce dal progetto congiunto, coordinato da Jean-Michel Frodon, di creare un film in cui alcuni registi di buona volontà rappresentassero i due aspetti della città di Sarajevo: quello dell’utopia, che era stata possibile e quello della guerra civile che ne aveva distrutto ogni prospettiva.

All’inizio del secolo a Sarajevo era maturata la cospirazione di alcuni intellettuali contro l’occupazione austriaca e lì, il 28 giugno del 1914, era stato compiuto l’attentato di Gavrilo Princip contro l’arciduca Francesco Ferdinando, erede del trono imperiale asburgico, ciò che aveva innescato l’immediata dichiarazione di guerra austriaca e, nel giro di pochi giorni, la  prima guerra mondiale.

Ci ricorda il film che furono massacrati 19 milioni di uomini, in Europa, nel corso di quella guerra atroce, sacrificati sull’altare del nazionalismo.

Dopo quella carneficina, mugugni revanchisti pericolosamente accompagnandosi alla xenofobia e all’antisemitismo attraversarono il vecchio continente, né cessarono dopo la seconda guerra mondiale: perdurarono, anzi, fino a esplodere alla fine del secolo, quando si disgregò la Jugoslavia. La bellissima Sarajevo, città pacificata in cui etnie, religioni e culture diverse avevano provato con successo  a convivere pacificamente, fu travolta e assediata (1992) dai serbi sostenitori della purezza etnica. Dapprima essi ne colpirono i simboli più antichi e prestigiosi, come l’antica biblioteca (venne incendiata e  distrutta una delle più importanti e rare raccolte di testi antichi ebraici e musulmani) che fu solo in parte salvata dal coraggio degli abitanti; dal 1993 agli abitanti assediati vennero tagliati i rifornimenti alimentari e l’acqua. Solo dopo  l’Accordo di Dayton (1995), ebbe fine lo strazio della città, ma non terminarono  le sofferenze dei sopravvissuti che ancora portavano in sé le tracce delle ferite più profonde e dei lutti, che avevano colpito quasi ogni famiglia.

A vent’anni di distanza, dunque il film a episodi sulla città ci offre importanti spunti di meditazione, pur nel diverso spessore artistico dei diversi contributi. Fra tutti, Jean-Luc Godard offre il “corto” più prestigioso e innovativo, che riprende e prosegue il suo breve racconto su Sarajevo del 1993 Je vous salue, Sarajevo; così come  certamente è di grande importanza il piano-sequenza molto claustrofobico di Cristi Puiu, che con graffiante ironia ci parla del pregiudizio razzista onnipresente (e ridotto, addirittura a  senso comune)  là dove meno te l’aspetteresti (un letto coniugale) e nel tempo meno adatto (la vigilia di Natale).

Altrettanto eccezionale è la qualità del racconto di Ursula Meier: una pallone ricuperato dal piccolo Buju tra le fittissime tombe del cimitero musulmano che un improvvisato campo di calcio separa dal cimitero cristiano.

Riconosciuto lo spicco considerevole di questi tre episodi sugli altri, tengo tuttavia a sottolineare che il diverso approccio di ogni regista e soprattutto l’intento umanitario del film nel suo complesso rendono ingiusta qualsiasi classificazione, perché, come sottolinea lo spagnolo Marc Recha nel suo "corto", rivolgendosi con voce fuori campo al giovane Zan,  tu non sai niente...tu non hai visto niente. Le parole di Hiroshima mon amour riecheggiano, in un contesto diverso, per dire l'indicibile e per ricordare a tutti che inevitabilmente il tempo sbiadisce la memoria degli anziani, mentre le nuove generazioni, che non sanno davvero niente, devono conoscere quegli orrori per bandire dal proprio futuro altri strazi e altri dolori terribili.

 

Un aspetto non secondario del film è dato dalle  bellissime sequenze animate (realizzate da François Schuiten e Luís da Matta Almeida) che collegano i singoli episodi fra loro: due mani si cercano e si incontrano, infine, per formare, fra mille difficoltà, un ponte sulla città, dopo che il ponte della cultura era stato bruciato dall'incendio dell'antica biblioteca.

 

 

 

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