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The Program

Regia di Stephen Frears vedi scheda film

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La recensione su The Program

di marcopolo30
6 stelle

Stephen Frears realizza un film molto bello a livello visivo, limitando le scene di gara a poche ma di eccellente fattura, e Ben Foster fa un figurone nel dar vita a Lance Armstrong. Il vero, abnorme problema è però la rappresentazione a dir poco ingenua degli eventi che riduce il tutto a tre lupi cattivi in un mondo di agnellini.

Il biopic sul re (deposto) del ciclismo mondiale Lance Armstrong arriva troppo tardi per poter sfruttare la scia creata dal clamore mediatico degli eventi, e troppo presto per poter invece riflettere a freddo su un dramma non da poco, per la società tutta oltre che per il protagonista. Partendo dal libro-verità del giornalista sportivo David Walsh “Seven Deadly Sins”, Stephen Frears porta in scena le gesta (truccate) del campione texano, e lo fa con grande maestria da un punto di vista tecnico e soprattutto senza cadere nella trappola dei film sportivi tipo, quelli che si risolvono cioè nel rimontaggio di materiale di gara già esistente. Gira invece ad hoc poche ma eccellenti scene, talmente accattivanti da far quasi venir voglia di prendere la bici ed andare a scalare il Tourmalet. Sceglie poi con gran cura una colonna sonora che stia a tali immagini come il cacio sui maccheroni, e ciliegina sulla torta, punta il grosso delle sue fiches su Ben Foster, attore che probabilmente non offriva le migliori garanzie e che invece si rivela per l'occasione capace non solo di interpretare ma addirittura di trasformarsi in Lance Armstrong grazie a un lavorone da vero perfezionista dell'arte attoriale. Stiamo dunque parlando di un film pienamente riuscito? No, assolutamente. Il film funziona a livello puramente visivo, ma racconta una storia che anziché mostrarci un dramma ambientato in quel mondo marcio e putrefatto che il ciclismo professionista indubbiamente è, ci parla di un trio di debosciati (Armstrong, il direttore sportivo Bruyneel e il dottor Ferrari) che per anni si sono apparentemente mossi in un ambiente popolato di cherubini intonsi. Un mondo dove tale trio di lupi famelici ha spadroneggiato per quasi un decennio mentre tutti gli altri -agnellini innocenti- subivano in silenzio, questo fino al processo del 2012 che ha fatto piazza pulita dei cattivi ristabilendo la giustizia. Ecco, se un marziano atterrasse sul nostro pianeta e venisse a conoscere il ciclismo attraverso “The Program” questa sarebbe l'idea che se ne farebbe. Sfortunatamente le cose non stanno così nel mondo dello sport-business attuale, e nel caso del ciclismo non stanno così da ormai oltre mezzo secolo. E se qualcuno nutrisse ancora dubbi in proposito dovrebbe solo ascoltare le parole, risalenti agli anni '60, del cinque volte campione del Tour de France Jacques Anquetil, che a chi gli chiedeva perché si drogasse rispondeva: “Je me dope parce que tout le monde se dope!” (“Prendo doping perché tutti prendono doping!”).

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