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Umut

Regia di Yilmaz Güney, Serif Gören vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Umut

di yume
stelle

Umut è speranza, e di speranza questo film è pieno, fino a morirne.
 
Cabbar (Ylmaz Güney, regista e protagonista) è un povero diavolo analfabeta, cinque figli, una moglie e una vecchia madre a carico in una catapecchia dove ogni sera ricovera calesse e cavallo, i suoi unici mezzi di produzione.
Fa il vetturino alla stazione, sta lì dall’alba a notte, dormicchia sul sedile, aspetta che qualcuno decida di spendere le due lire che chiede, e intanto partono taxi bianchi carichi di passeggeri vestiti alla occidentale. Sul calesse, infatti, sale solo gente del popolo vestita alla turca.
Vita grama, debiti e fame, la figlia più grande che piange coprendosi il viso con le mani all’esame d’inglese perché non ha potuto studiare come si deve, i piccoli che si rotolano nel fango e la madre, sfinita, che li rincorre col bastone.
Può esserci una condizione umana ancora più derelitta di quella dei borgatari di Pasolini, che pure tornano alla mente per quel bianco e nero spettrale che fotografa, annullandoli, i confini di questa internazionale della miseria.
I piccoli anti-eroi di Guney possono essere perfino più miserabili di quelli di De Sica, per Cabbar la bicicletta sarebbe già un lusso.
Una carrozza sbilenca e un cavallo ancora da pagare, magro per poca biada e parecchie frustate, è tutto quel che ha.
Oltre alla speranza, naturalmente, umut.
Tenta infatti la fortuna alla lotteria, Cabbar, ma poi deve sempre chiedere a qualcuno che gli legga le estrazioni sul giornale.
Ma forse la sorte può cambiare, ne è convinto, e certo lo farà, ma in peggio, il giorno in cui  un’automobile prenderà sotto il cavallo parcheggiato in zona vietata e lo manderà nell’aldilà dei cavalli.
Al commissariato lo sventurato Cabbar, curvo e umile col suo berretto in mano, rischierà anche di dover pagare i danni all’automobilista, ma poi il commissario e il panciuto borghese, mossi a pietà, decideranno di lasciarlo andare. E intanto bevono piacevolmente tazze di thè opportunamente servite dall’appuntato che non lo offre certo a Cabbar, lasciato a guardare in silenzio.
 Lo lasciano andare, dunque, ma dove? Ora che non ha più mezzi di sussistenza a Cabbar resta solo la speranza, Umut, appunto.
 
Qualcuno ha detto che la speranza è una cosa infame, una trappola inventata dai padroni,ma lui non lo sa e cadere nelle trappole di chi vuole che l’ordine sociale non venga alterato è molto facile.
Non si profila una presa di coscienza di classe per Cabbar, che appartiene a quel sottoproletariato, facile preda di falsi miti alimentati da ignoranza e miseria, che affolla le periferie del mondo.
Religione e superstizione hanno ora una nuova pedina con cui giocare, è molto facile per l’uomo cedere al miraggio di una ricchezza facile fatta balenare dai discorsi stravaganti di un imbonitore, un “hoca”, maestro stregone che il suo amico(Tuncel Kurtiz) segue con fiducia fanatica.
 
Anti-Prometeo per definizione, lontano secoli dall’urlo goethiano che maledice Zeus
 
Credevi tu forse che avrei odiato la vita, 
che sarei fuggito nei deserti 
perché non tutti i sogni 
fiorirono della mia infanzia?
 
L’uomo di Guney fugge invece proprio nel deserto e lì impazzisce, nella ricerca sterile di quel tesoro sepolto che diventerà invece la buca della sua tomba.
Nell'oppressione e nell'inferiorità in cui vive Cabbar, a cui Guney in veste di attore fornisce una recitazione intensa e struggente, si rispecchia la condizione di un popolo senza nazione e di una nazione senza sovranità nazionale che è la sua.
E’ il popolo del Kurdistan, Paese negato anche dalle carte geografiche e abitato da 30 milioni di persone sparse tra Iraq, Iran, Armenia e Siria.
Umut è la parola ingannevole che Guney pone fin dal titolo, come a marchiarlo.
Parola disonesta, usata per annullare la rabbia giusta di un popolo lasciato a girare su sé stesso nella speranza del nulla.
Neppure la musica aiuta.
Manca a Umut  l’apporto sacralizzante che la musica di Bach conferiva agli umili di Pasolini, la musica che sollevava Accattone morente dalla polvere al cielo.

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