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Lo sperone nudo

Regia di Anthony Mann vedi scheda film

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La recensione su Lo sperone nudo

di scapigliato
8 stelle

James Stewart ovvero "the Westernless of Westerness". Jimmy Stewart non è un duro, non ha il viso roccioso di un vero cowboy, non ha il portamento di un vero pistolero, è goffo, alto e curvo. Eppure signori, sulla frontiera è l'uomo inquieto e tormentato per antonomasia, forse ancor di più di Gary Cooper che dalla sua aveva comunque un physique du role azzeccato. Nella sua westerness Stewart è privo del puro e duro western. Incarna il tormentato, l'hitchcockiano, l'inquieto uomo moderno diviso tra tensione civile e quella selvaggia, tra la tensione per l'ordine e quella per l'istinto. Se ne accorgerà pure John Ford che poi lo preferirà al John Wayne integro della formazione popolare più conservatrice. Se il western classico va rivalutato, in un'ottica più mitica che politica, per spurgarlo dalla propaganda filogovernativa e moralista dell'America anni '50 (ovvero l'America che ha distrutto l'America), lo stesso a mio avviso non vale per John Wayne. Il Duca, pur sottotacendo ambiguità che intraviste fanno piacere anche al detrattore, rimane comunque l'icona repubblicana e conservatrice di valori e integrità morali, non sbagliate, ma così talmente impositive e rese quasi esclusive per certe caste e certe classi borghesi, da renderle poi odiose. Loro e chi le rappresentava. Ecco che gli Henry Fonda, i James Stewart, i Clint Eastwood e altri ancora, assumevano via via la funzione opposta, moderna e antagonista di una cultura e un Paese che forse non era unto davvero dal Signore come ancora oggi qualcuno crede. Premesso questo, ecco che il James Stewart attore e icona ben si presta a rappresentare i conflitti americani per eccellenza: uomo contro natura, legalità contro illegalità, individuo contro società, se stesso contro l'altro. In più c'è alla regia Anthony Mann che sarà un po' il primo mentore di Stewart insieme a Hitchcock prima di lasciarlo andare verso il crepuscolo di un'epoca western al fianco di John Ford. La politica degli attori, che ancora oggi non prende piede perchè ancora ancorata allo star system (l'attore è merce, sigh!), serve proprio per questo discorso. Solo grazie all'attore, più che al regista, possiamo in questo caso, capire il fondamento del film e il suo obiettivo. D'altronde Mann qui si limita a inserire i personaggi nelle sue precise inquadrature, nei suoi ritratti naturali, per dar loro una cornice degna del loro destino. Per il resto sono gli attori a fare il grosso del film. Un terzetto di tutto rispetto: Jimmy Stewart, Janet Leigh e il grande Robert Ryan, perfetta coda del diavolo che deflagra l'armonia e l'equilibrio del gruppo. Un gruppo in viaggio, elemento che non va sottovalutato, con tutto ciò che comporta sia esistenzialmente sia narrativamente e simbolicamente il viaggio, l'itere, l'andare e tendere verso. In più ci sono le insidie del percorso: indiani, fiumi, monti e rocce che franano. L'unico guizzo registico (Mann ha fatto di meglio) è l'inquadratura di spalle di Jimmy Stewart quando trascina il cadavere di Robert Ryan per caricarlo sul cavallo e risquoterne la taglia. Come di spalle si trasformano in mostri i più miti uomini di città (Jekyll in Hyde), ecco che il già labile cacciatore di taglie di Stewart si trasforma nel assetato vendicatore cieco e opportunista che svela di aver dato la caccia a quell'uomo solo per la taglia con la quale avrebbe ripreso il suo ranch. E' avvisabile in questo una frustrazione sessuale evidentissima: tradito dalla donna l'uomo si vendica su un altro uomo. Peccato che poi, l'elemento femminile apportato dalla Leigh riesce a calmare l'animo inquieto di Stewart, e tutto tende ancora e nuovamente verso la ricostruzione dell'ordine, verso la fondazione di una famiglia. Rimane certo il percorso poco egreggio con cui Stewart ha ricostruito e fondato.

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