Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film
Superbo. Film che denuncia l'orrore della violenza intesa come disumanità, a tutti livelli, rispetto a cui non si può che stare dalla parte della vittima.
Il godimento, volgare, di chi si compiace nel poter vedere gli altri ai propri piedi: questa oscenità, tipica della violenza aristocratica (o di chi ha fatto di tutto, per avvicinarsi ai privilegi dell'aristocrazia, come nel case degli equites) è messa alla berlina ("non saremo diventati come i romani !?! Ma non abbiamo proprio imparato niente", dice correttamente Spartaco, in questo film anche con evidente riferimento all'imperialismo Usa), paragonata alla dignità di chi riconosce l'orrore del dolore ingiustamente subìto, e ritiene un guadagno il liberarsene in quasi tutti i modi: Quasi: non va bene, per Spartaco, liberarsi del violento con gli stessi metodi del violento (dimostrato nella scena del duello a morte tra i nobili, da Spartaco liberati): è medlio impegnarsi per un futuro tra fra fratelli, liberi e uguali, dove nessuno possa più offendere i diritti degli altri.
Progetto da ingenuo? Sì, come conferma la storia degli schiavi ribelli crocefissi e anche la maggioranza della storia fino ai giorni nostri, e quindi anche il film. Ma il film suggerisce anche, e soprattutto, che è più confacente alla felicità impegnarsi per quell'altra strada, quella della libertà nell'uguaglianza dei diritti, che non a caso è stata impugnata dagli illuministi ed ha portato nell'800, quantomeno, all'abolizione della schiavitù ovunque, danneggiando così l'interesse dei propugnatori, espliciti o no, dello schiavismo, che da sempre fino a lì avevano ogni potere.
"Se anche sconfiggeremo un'armata, ce ne opporranno sempre un'altra, e poi un'altra, e poi un'altra ancora", dice Spartaco sapendo di andare incontro alla morte, sua e di migliaia di persone. Descrizione impietosa della violenza che diventa legge perpetrata da una classe dirigente che, in ogni era, spesso si è formata attraverso la semina della violenza e dell'infelicità, e in nessun altro modo. La denuncia e la lotta, se condotte in nome di diritti umani, portano comunque poi a vantaggi per tutti, anche se attraverso il sangue dei martiri.
Chiara l'allusione marxiana, ma senza facili ideologismi: lo straccione rischia subito di perdere la misura e di autodistruggersi, se non ha un minimo d'istruzione. Eppure la torma di analfabeti appare felice, una volta libera di poter decidere da se stessa del proprio futuro, senza dover sempre e solo subire una vita da "animali". Poi compare spesso la natura, in quanto ha di bello, e ci accomuna agli animali stessi, e anche in quanto ci lega alla catena di certi animali, sorte non invidiabile ma frequente, ancora ai giorni nostri.
Il melodramma, serissimo (maternità, amore che non si può comprare, sentimenti puri che non si riducono al consumo del momento, anziani che sanno ancora festeggiare assieme in coppia...) trionfa in quella lugubre ma anche gioiosa marcia di persone coscienti di fare una brutta fine ma anche assetate di voglia di non essere più strumento di altri (il che è una delle condizione imprescindibili per cercare di essere felici, la cosa più importante di tutte).
Perfette le sceneggiatura, la fotografia, le scene di massa (che rendono bene le dimensioni orripilanti della violenza), e le scene dei duelli dei gladiatori (molto serie, a differenza della penosa ostentazione di machismo oltreoceano, che ha anche accomunato molte pellicole sulla sofferenza di questi galdiatori alle farse del wrestling drogato e fasullo, in nome del grottesco fitness amato da clienti tanto facoltosi quanto irrimediabilmente ansiosi).
senza sbavature, strepitosa
perfetto, rende la dignità dell'uomo che cerca di essere uomo, ovvero soprattutto felice
grande, il politico corruttore poi non tramonta mai, anzi
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