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Felice chi è diverso

Regia di Gianni Amelio vedi scheda film

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La recensione su Felice chi è diverso

di mm40
6 stelle

Documentario sull'omosessualità maschile in Italia durante e dopo la seconda guerra mondiale, quando si considerava una malattia e i media diffondevano con essa un'idea di perversione e corruzione morale.

 

Ci sono personaggi famosi che decidono di fare 'outing' in momenti sospetti, suscitando magari dubbi su un eventuale valore 'promozionale' della dichiarazione; Gianni Amelio scegliere invece di parlare di omosessualità, rivelando la propria al contempo, presentando questo documentario. Felice chi è diverso, da un verso di Sandro Penna, è un insieme di interviste a persone comuni e famose che sono legate dalla medesima esperienza: sono tutti uomini omosessuali che hanno attraversato coraggiosamente l'Italia fascista e postbellica senza rinnegare la propria sessualità. Cosa che li rende certo più 'felici', o quantomeno realizzati, di tutti coloro che hanno dovuto accettare matrimoni di compromesso per non deludere le famiglie o di tutti quelli che hanno rinnegato sè stessi pur di non suscitare scandalo. Amelio intervista anche un trans 'ante litteram', Lucy Salani, diventata donna quando ancora il termine trans non aveva l'odierno valore nella nostra lingua; il fatto che il lavoro si focalizzi sui gay maschi va spiegato presumibilmente con la maggiore accettazione (o forse solo il minor scandalo) dell'omosessualità femminile in un contesto maschilista e patriarcale come quello italiano. Alla base di tutto c'è la ristretta mentalità medievale, colma di pregiudizi e tabù, del Vaticano: ma Amelio ha anche il buon gusto di non polemizzare più di tanto (c'è giusto un accenno alla DC e alla figura perennemente ambigua, anche a livello sessuale, di Andreotti). Fra le persone chiamate a raccontarsi ci sono anche un attore del calibro di Paolo Poli (fra i primi a fare outing senza esservi costretto, in Italia), il giornalista e attore John Francis Lane, l'etero Ninetto Davoli, amico fraterno di Pasolini (gay fra i più bistrattati nella storia del Belpaese), lo stilista Mosè Bottazzi (allucinante il suo aneddoto: qualcuno gli consigliò di recarsi in Svizzera a 'curarsi' con una serie di iniezioni, ma Bottazzi si rifiutò, preferendo raggiungere pian piano l'accettazione completa di sè). Riemerge una realtà ormai lontana, ma ancora viva - pur latente - nel 2014, come dimostra la conclusione del documentario; gli inserti con filmati televisivi degli anni Cinquanta e Sessanta in cui vengono sbeffeggiati gli omosessuali parlano altrettanto chiaro degli intervistati. Rimane però molta perplessità sulla scelta di puntare il dito anche contro gli sketch di Vianello e Tognazzi, che ripetutamente vestivano abiti femminili per pure esigenze di scena, contribuendo ad abbattere l'immagine della diversità nell'omosessualità. 6,5/10.

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