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Everest

Regia di Baltasar Kormákur vedi scheda film

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La recensione su Everest

di alan smithee
6 stelle

FESTIVAL DI VENEZIA 2015 – FILM D’APERTURA

Un inizio festivaliero non proprio memorabile, questo ultimo veneziano 2015, con il blockbuster d’alta montagna. Inizio incerto di un festival che tuttavia ha saputo riscattarsi in seguito ed ampiamente, con opere degne di ben più durevole memoria.

“Oltre i settemila metri il corpo umano non è più idoneo a sopravvivere alle condizioni di volo di un boeing: per questo motivo esso e le funzioni che lo regolano, a quelle altezze, comincia a spegnersi progressivamente: la nostra sfida è arrivare in cima e tornare prima che il nostro corpo si spenga…definitivamente”.

Questa (più o meno) la premessa doverosa che un maestro di arrampicata esperto in cime estreme, profila al suo seguito di appassionati, o meglio ancora “ossessionati” dal desiderio di raggiungere quel traguardo quasi impossibile, ma indubbiamente emozionate.

L’uomo e la sfida contro qualcosa di più grande di lui, un percorso colmo di insidie che non è essenziale intraprendere, ma che è necessario, vitale raggiungere per appagare un desiderio e vincere una scommessa contro se stessi che, a tutti gli effetti, diviene un traguardo imprescindibile.

La montagna accessibile a tutti, e quindi in un certo senso violata dalla civilizzazione, o almeno da coloro che se lo possono permettere: salire in cima all’Everest è anche uno sforzo economico, oltre che fisico, che rende la missione una scommessa plausibile per i ricchi (ed annoiati), ma che diventa ancora più inebriante quando è frutto di anni di risparmi e sacrifici da parte di chi ricco proprio non è.

Everest - col suo cast all star Clarke-Brolin-Hawkes-Wortington-Gyllenhall - è un filmone da grande incasso non privo di spunti affascinanti, di riprese vertiginose che certo il 3D avrà esaltato e reso da brivido (per una volta che serve ‘sto 3D!!!! invece nella sala della mia città lo proiettavano in 2D….accidenti): l’ideale prodotto da mettere nelle mani di un cineasta, l’islandese Baltazar Kormàkur che se la cava bene con l’action e con le riprese spettacolari, e al quale il panorama del tetto del mondo risulterà piuttosto famigliare, tenuto conto dei suoi natali nordici.

La responsabilità di una certa fiacchezza del film, è piuttosto da imputare ai responsabili della sceneggiatura, che, probabilmente costretti a districarsi su una pluralità sin caotica di protagonisti e comprimari (necessari a popolare un cast davvero notevole di attori ed attrici di fama), costruiscono una storia, tratta da un drammatico episodio realmente accaduto, che si compone di personaggi eccessivamente stereotipati e bidimensionali che fiaccano ogni tentativo anche emozionante di coinvolgere lo spettatore ogni qualvolta la vicenda torna a concentrarsi sulla spedizione e sui pericoli e le insidie della natura.

Cinema e alta montagna sono due accostamenti rischiosi ed estremi: La montagna di Dmytryk del lontano ’56 con Spencer Tracy e Robert Wagner emozionava e non si può non averne un buon ricordo, ma è un film che si fa puerilmente inghiottire da eccessivi tranelli melodrammatici che oggi risulterebbero imperdonabili; in Cinque giorni un’estate di Zinnemann (82), la montagna è lo sfondo elegante e galeotto di una storia d’amore proibito ed impossibile che si trasforma in un thriller di grande effetto, dove il paesaggio viene per questo inesorabilmente relegato a terzo incomodo tra i due affascinanti protagonisti e rivali (Connery e Wilson, in un nuovo confronto generazionale qui più pruriginoso del precedente); da ultimo, e certo senza nessuna pretesa di risultare esaustivo, ricordo l’irrisolto Grido di Pietra (91), ennesimo sforzo (anche fisico) titanico del grande regista Werner Herzog, abbarbicato sul Cerro Torre, in Patagonia, per seguire la sfida tra Vittorio Mezzogiorno e Brad Dourif in un’impresa dove la morte ed i misteri nascondono soluzioni in cui l’arrivismo e la voglia di primeggiare, diventano per lo sfidante una ragione assoluta: grandi ambizioni per un film modestissimo e deludente, molto lontano dalla potenza usuale del celebre cineasta tedesco.

Qui in Everest si vola alto solo per una questione di quota: i personaggi, specie quelli di contorno, in particolare le mogli in ansia, quelle incinta, le assistenti rinchiuse nelle tende in alta quota, diventano il tallone d’Achille di un filmone che dà il meglio di se quando lascia parlare la potenza della natura; e ciò anche quando si tratta di attrici di valore come Robin Wright e Emily Watson (sulla Knightley stendiamo, ancora una volta, un velo pietoso ed evitiamo commenti).

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